io e il mare

io e il mare

venerdì 14 dicembre 2012

LA MISSIONE

Mentre fuori nevica da parecchie ore, ripensavo ad una chiacchierata di alcuni giorni fa tra me ed un mio caro amico in merito all'origine della vita, al perchè siamo qua, cosa siamo noi per questo mondo e quale sia la missione, sempre ammesso che ci sia (io credo di si', ci credo), in questa vita terrena.
Il dolce cadere della neve mi meraviglia ancora come quando ero ragazzo, ma al tempo stesso mi fa capire una volta di più che tutto quello che vedo non può essere opera del caso. Ma che significa essere nati per caso? Ogni tanto mi sforzo di pensarci, e rispettando come è doveroso chi crede in questa teoria, mi pongo alcuni quesiti.
Non posso pensare che siamo a questo mondo solo per frutto di una mera equazione matematica con risultato impossibile. Mi è difficile,se non impossibile,accettare l'idea di un mondo che nasce cosi', come una vittoria al superenalotto o come una puntata alla roulette.
Se cosi' fosse vorrebbe dire che la nostra esistenza è mera materialità, basata sull'accumulo di beni, sul cercare di soddisfare ogni tipo di esigenza fisica. Mi sforzo di pensarci, ma non posso credere che siamo qui solo per questo.
Abbiamo uno spirito, un'anima, sappiamo di averla, ed è quell'orticello all'interno di noi nel quale coltiviamo i sentimenti.Sta poi a noi scegliere di coltivare il seme giusto, quello che ci è stato dato. E perchè mai ci dovrebbe essere stata data la possibilità di scegliere? Perchè mai dovremmo provare dei sentimenti? Se fossimo nati per caso, saremmo dovuti tutti essere degli umani senza sentimenti, agire per la mera riproduzione della specie, mangiare, dormire, fare l'amore, riprodurci e poi morire come un ciclo continuo, senza pianti, risate, gioie, dolori. Ecco in sintesi la mia seconda riflessione natalizia. Non so se sia giusta, è solo il mio modo di vedere la vita, la mia risposta al "perchè siamo qui". Perchè qualcuno ha voluto che siamo qui, anche ora.

lunedì 10 dicembre 2012

LA VITA E' PIU' IMPORTANTE DI TUTTO

In questi giorni rimbalzano violentemente (è ahimè proprio il caso di dirlo) notizie di omicidi feroci, tutti legati alla sfera sentimentale, con uomini respinti un tempo amati che in preda alla follia uccidono le loro ex mogli o compagne che dir si voglia. Resto sempre più amareggiato di fronte a queste situazioni, di come la violenza accecante possa prevalere sul buon senso, ma c'è da porsi di fronte a vari quesiti, perchè tutto questo non è accettabile, nel 2012, in una società che voglia dirsi civile. Io credo che bisognerebbe partire da un primo concetto di base, di ardua comprensione per molti ed in generale di difficile apprendimento da parte dell'uomo: le persone non sono nostre, le persone non ci appartengono. L'amore dovrebbe sempre essere la luce guida delle nostre esistenze, ma occorre altresì che questa luce venga controllata dalla nostra mente per non renderla accecante. Purtroppo l'eccesso di attaccamento alle persone, come alle cose, rende noi uomini fragili e timorosi, e l'idea di perdere quello che a cui teniamo ahimè fa perdere il lume della ragione a molti. In qualche caso, quando l'attaccamento diventa morboso, succede quello che stiamo sentendo in questi giorni da più parti in televisione, con violenze inaudite, addirittura omicidi così efferati da non credere che l'uomo possa arrivare ad un tale livello di crudeltà. Che amarezza. La vita è più importante di tutto, non può essere tolta per questo, come per nessun altro motivo. Il secondo concetto è legato all'accettazione delle cose. Gli orientali ci dovrebbero insegnare molto in questo senso, ma evidentemente facciamo ancora molta fatica, (io in primis ovviamente), e nelle persone che sono piu' deboli scatta un meccanismo per cui la fine di un rapporto è vista come un qualcosa di irreperabile, di terribile, di angosciante. Ma la violenza non è mai giustificabile. C'è sempre una seconda possibilità nella vita, ho visto persone che hanno avuto matrimoni falliti per vari motivi che sono riuscite a ricostruirsi una vita migliore e più bella di quella precedente, dopo un percorso di sofferenza, di difficoltà certo, ma ci sono riuscite. Bisognerebbe forse diffondere tutto questo fin dall'età adolescenziale, in modo tale ad aiutare i nostri ragazzi a crescere nelle difficoltà,ad abituarli che la vita è una caduta ed un rialzarsi continuo, nelle difficoltà, col sorriso e la voglia di viverla tutta fino in fondo. Persino Napoleone capì che non poteva avere il controllo su tutto. Ci sforziamo di poter controllare e dominare le persone, ma ci sbagliamo. Le persone devono essere lasciate libere perchè tale è la loro natura, libere anche di non seguire più il nostro percorso.

mercoledì 5 dicembre 2012

IL BELLO DI POTER CONDIVIDERE, ANCHE E SOPRATTUTTO A NATALE...

Mi piace pensare al Natale ormai prossimo come un momento di pace e speranza per tutti, in questi tempi cosi' confusi, alienati, e per certi versi, se penso agli ammalati e alle persone in difficoltà economica, tristi e grigi. Imprescindibile, a mio modesto avviso, è riscoprire la tradizione, non solo nei negozi, nelle cose più effimere, ma nell'idea che ritengo basilare per una convivenza serena oltre che civile fra le persone,ovvero quella della condivisione. Condividere, dividere insieme, anche le piccole cose, i momenti, il sentimento che unisce e da senso alle nostre vite, ovvero l'amore, nell'unità del nucleo famigliare, nel riscoprirsi ancora felici tutti insieme, magari con qualche soldo in meno, con qualche preoccupazione in piu', ma con la voglia di restare uniti e di volersi bene come si faceva una volta, quando forse avevano meno ma stavano (forse) meglio... Mancano ancora venti giorni piu' o meno al Natale, ed occorre prepararsi, nel nostro piccolo, a dare il giusto significato a questa celebrazione. Ognuno di noi ha il proprio modo di approcciarsi alla festa natalizia, io non sono nessuno per dire se un modo è giusto, un altro è sbagliato. Davanti alla vita siamo solo noi, nel nostro io, a doverci chiedere se diamo significato a quello che facciamo. Il mio desiderio è invece semplice ma molto complesso al tempo stesso: la speranza per tutti di trovare tempo, magari anche solo pochi minuti, per l'ascolto, magari anche pochi minuti, in silenzio. Mi sono accorto di quanto sia importante saper ascoltare, e la differenza fra ascoltare, assimilare, e di conseguenza condividere, dal sentire, magari in modo stanco e distratto, e di conseguenza andar via senza che chi ti abbia parlato ti abbia realmente trasmesso qualcosa, e senza che tu possa realmente essere stato d'aiuto a chi aveva bisogno di essere ascoltato... Non sono qua a fare la morale a nessuno, non ho nessun requisito per potermi permettere questo. Sono una persona semplice a cui piace scrivere ed in questo caso, condividere con chi legge riflessioni, spunti, più o meno interessanti, più o meno condivisibili. Buona condivisione a chi legge.

lunedì 5 novembre 2012

IMPETO, CONSAPEVOLEZZA E MATURITA'

Con l'avanzare dell'età amo sempre di più il silenzio,la pace, e la tranquillità. E tempo fa non avrei pensato di trovarmi a mio agio in autunno, una stagione da me mai troppo amata, perchè fa buio presto, perchè comincia a fare freddo, ed il sole si vede poco o nulla. Invece il tempo ha cambiato un po' le mie abitudini, i miei gusti, e questo sta a significare, senza addentrarmi troppo nel mio personale, che tutto è in continua evoluzione, tutto cambia e si modifica nel tempo. Chissà come mai con l'età pare cambiare anche l'approccio verso i sentimenti, in particolar modo "il sentimento", quello che unisce due persone e che fa capire loro che insieme possono stare bene ed intraprendere un percorso comune. Chiacchierando con un caro amico tempo fa, mi rimase in mente una sua frase legata all'amore adolescenziale. Secondo la sua teoria, a trent'anni (per non parlare a quaranta) non ami piu' con quell'impeto, con quella dirompente incoscienza che avevi a sedici, con quell'incalcolabile volontà di dare e darsi tutto al proprio amato/a, lui, o lei, che in quel momento della fase adolescenziale sono tutto nella tua vita. Ripensavo a questa sua idea la settimana scorsa mentre incrociavo casualmente una scolaresca, e per un attimo sono tornato indietro di vent'anni, ripensando alla mia adolescenza, a quelle cotte fulminanti che erano dei veri e propri tormenti, in quanto scommettevi tutto su quella persona. Su di lei proiettavi tutto. Con la maggior età, con il passare del tempo e l'accumularsi delle esperienze, (purtroppo non sempre tutte positive) spesso capita che tale stato di bruciante giovane incoscienza si tramuti in fredda esperta diffidenza. Ma non è solo quello... Da ragazzo l'amore può occupare totalmente il tuo cervello, oltre che il tuo cuore. Il massimo che ti viene chiesto è studiare, andare bene a scuola,e null'altro. Non ci sono bollette da pagare, non ci sono rate, non ci sono situazioni difficili da affrontare, non esiste il lavoro che occupa buona parte della nostra giornata e soprattutto godi di una fiducia totale verso l'altra persona... Attenzione, nessuno vuol dire che l'età adolescenziale sia facile! Tutt'altro...Fior di psicologi da decenni studiano i tormenti di questo periodo particolare della vita, lunge da me volermi sostituire da loro... Resta però il fatto che tutto sembra cosi lontano, quando non sei ancora maggiorenne, tutto resta quasi infinito. Crescendo poi tutto questo cambia e ripeto, con l'accumularsi delle esperienze, il carattere si forma, la maturità fa dare il giusto peso a tutte le cose.
Non so se sia possibile vivere l'amore come a quell'età, di certo però è fondamentale raggiungere il giusto equilibrio fra passione e maturità, fra impeto e riflessione. Forse è con questo mix che si trova il giusto equilibrio ed una rinnovata, nonchè piu'matura e consapevole, capacità di amare.

domenica 4 novembre 2012

L'INGREDIENTE PRINCIPALE

Madre Teresa, le cui parole non mi stancherò mai di riportare in questo spazio, diceva che uno dei motivi di sofferenza del genere umano qui in occidente è la mancanza d'amore. Si tratta ahimè di una grande ed inoppugnabile (quanto avrebbe voluto sbagliarsi in cuor suo pure lei), verità. Abbiamo tutto. Automoboli sempre piu' accessoriate con telecamere che ci aiutano nel fare retromarcia, treni superveloci cibi sempre piu' raffinati (e ahimè contaminati) che ci permettono di nutrirci ben al di là delle nostre primarie necessità, televisori e computer come quello su cui sto scrivendo tramite i quali possiamo interagire con persone dall'altra parte del mondo. Di fatto comunichiamo, ma è da comprendere se ci capiamo, e se in tutto questo trova spazio il motore delle nostre esistenze, ovvero l'amore Non mi piace fare quello che guarda in casa altrui. Nessuno a questo mondo, se non Dio, dovrebbe prendersi la briga di giudicare, e molto spesso le cose non sono come appaiono ai nostri occhi. Di fatto la realtà non esiste, o meglio esiste quella che percepisce la nostra mente, e di riflesso i nostri occhi E' anche per questo che forse, se sfruttassimo meglio quell'imprescindibile ingrediente che ci è stato dato per rendere la nostra vita un piatto saporito, molte cose cambierebbero. L'amore è il sale della vita, quella spezia preziosa che come ho appena detto da sapore alle nostre esistenze, e soprattutto fornisce ad esse significato compiuto. Quando se ne parla si rischia di essere considerati come dei sognatori, degli illusi, di fronte al nulla che vediamo spesso davanti ai nostri occhi, al dilagare dell'insensibilità umana, al diffondersi a macchia d'olio di quel gregge di discordia e negatività che è l'egoismo, e, nella sua totalità, il male stesso. Ma occorre essere piu' forti ed occorre tornare, a mio modesto avviso, a gustare quel piatto che ci è stato dato (la vita) lentamente, assaporandolo momento per momento, boccone per boccone, come un cibo prelibato che ci è stato dato fin da bambini e che fa male inghiottire di fretta senza sapore, cosi come è bello gustarlo fino alla fine dando esso senso compiuto.

venerdì 2 novembre 2012

LORO NON SONO QUA

C'è una televisione accesa, in questa sala, il volume è alto. Lo so, non è il miglior modo per ricordare i miei cari, il silenzio sarebbe necessario in queste occasioni. Ma forse non sempre è cosi'. In questo momento, mentre scrivo questo pezzo per loro, li vedo tutti, penso a tutti loro, i miei cari che hanno lasciato questa vita terrena e sono lassu' a godere la pace di una vita senza carne, senza affanni, e di vero e puro amore. Non amo molto parlare di me qui, delle mie vicende personali, ma nel corso della giornata ho avuto per tutti, di riflesso, un pensiero. E prima di andare a dormire, con una piccola preghiera,saluterò tutti loro. A parte questo excurus personale, ognuno ha il proprio modo di vedere la vita al di là di questa vita. E' un discorso cosi' complesso ma cosi' semplice al tempo stesso. Semplice, perchè non abbiamo risposte terrene a tutto questo, complicato perchè ci "arrovagliamo" il cervello con supposizioni ed idee piu' o meno strampalate quando tutto in realtà andrebbe ricongiunto ad un semplice concetto: la fede. La fede, per chi ce l'ha, piu' o meno forte, più o meno ballerina, è la spinta per credere ad una vita al di là di questa vita. E' una scommessa, un po' come quando, mi si perdoni l'accostamento che può sembrare banale ma serve a rendere l'idea, punti su un risultato oppure su un altro di un evento sportivo. Qualcuno, a volte, punta a caso, cosi', tanto per scommettere o buttare via dei soldi, altri, invece, puntano documentandosi ed appassionandosi, credendo fortemente in quella scommessa perchè sanno in cuor loro che è quella vincente. Mi piace ricordare una frase di una canzone di Renato Zero, "Nei Giardini Che Nessuno Sa", quando afferma, "dimentica, c'è chi dimentica, distrattamente un fiore una domenica". Ecco, qui è il punto, secondo me. Amare le persone da vive e tenerle nel cuore, pensando a loro, quando non ci sono piu'. Perchè loro non sono là, la loro foto è là. Loro sono da un'altra parte, e ci guardano, ci proteggono, e ci amano, ancora e piu' di prima. Io ci credo.

lunedì 29 ottobre 2012

PRAYING FOR TIME

In questi giorni mi capita di ascoltare spesso una delle mie canzoni preferite di George Micheal, dal titolo "Praying For Time". Al di là dei giudizi sulla sua vita privata, sui suoi eccessi e quant'altro, credo che questa canzone uscita ventidue anni fa sia ancora attualissima, ed io la sento "mia" in tanti suoi passaggi. Ecco il testo, e poi spazio a qualche mia riflessione personale these are the days of the open hand they will not be the last look around now these are the days of the beggars and the choosers this is the year of the hungry man whose place is in the past hand in hand with ignorance and legitimate excuses the rich declare themselves poor and most of us are not sure if we have too much but we'll take our chances because God stopped keeping score I guess somewhere along the way He must have let us all out to play turned his back and all God's children crept out the back door and it's hard to love, there's so much to hate hanging on to hope when there is no hope to speak of and the wounded skies above say it's much too late well maybe we should all be praying for time these are the days of the empty hand oh you hold on to what you can and charity is a coat you wear twice a year this is the year of the guilty man your television takes a stand and you find that what was over there is over here so you scream from behind your door say what's mine is mine and not yours I may have too much but I'll take my chances because God stopped keeping score and you cling to the things they sold you did you cover your eyes when they told you that he can't come back because he has no children to come back for and it's hard to love, there's so much to hate hanging on to hope when there is no hope to speak of and the wounded skies above say it's much too late well maybe we should all be praying for time Bellissimo testo, valorizzato dalla voce dell'artista. Ma questo conta relativamente. Quello che interessa sono le parole ahimè ancora attuali, una società in cui bisogna continuare a sperare anche se non c'è apparentemente speranza, e forse è troppo tardi... Ma io non credo che sia tardi per l'amore, non credo che sia tardi per indossare il cappotto della carità piu' di una volta l'anno... Ci dobbiamo provare tutti, io per primo, e soprattutto con l'aiuto necessario della preghiera. Il mondo è passato di fronte a guerre, carestie, cattiverie umane di ogni genere, ma è andato avanti comunque solo grazie all'amore, l'unico vero collante, eterno, rimasto, in un mondo in cui tutto passa e scivola via apprarentemente senza lasciare traccia.

domenica 21 ottobre 2012

COSTANZA E FEDELTA'

Mantenere la costanza del proprio rapporto con Dio. Questa per me è la strada piu' difficile. Piaccia o no siamo tutti delle pecorelle, e Lui è il nostro pastore, e come ogni buon pastore ci guida verso la strada giusta, altrimenti noi ci perdiamo. Ci perdiamo di fronte alla vita a cui diamo un'importanza effimera, superficiale, come la corazza delle cose che accumuliamo smodatamente, convinti che questo mettere insieme ci possa rendere felici ed appagati. Non è cosi'. La vita è fatta di sfide ed io riprendo la mia sfida con me stesso, con le mie paure, quotidianamente, consapevole che senza di Lui la mia vita non è nulla. Mi perderò ancora, sbaglierò ancora, ma sono certo che Lui mi riporterà, ancora una volta, verso la retta via, la via dell'amore, del perdono, della speranza. Mi è bastato tornare a messa oggi per sentire di nuovo quel calore di cui tutti abbiamo bisogno nel gelo dei nostri cuori. Un semplice gesto a fine messa, il rivolgersi tutti verso Maria a fine celebrazione, recitando l'Ave Maria ed un "Gloria Al Padre", come ringraziamento per una celebrazione che ha unito, e non diviso.

domenica 14 ottobre 2012

LORO NON HANNO COLPE

Finalmente riprendo a scrivere dopo un po' di tempo, e lo faccio cercando di evitare di salire sul carro, già gremito in ogni ordine di posto, dello sciacallaggio mediatico legato alla vicenda di Leonardo, il bambino di Padova conteso fra mamma e papà e recuperato al padre tramite l'intervento diretto delle forze dell'ordine, in un filmato su cui tutti hanno espresso opinioni, alcune condivisibili, altre meno... Io non voglio soffermarmi su cosa sia giusto o meno, se i poliziotti abbiano sbagliato o meno, non lo so. A me quello che fa male è vedere che una volta finito l'amore fra due genitori, (e questo ci può stare, fa parte purtroppo della vita) nemmeno una creatura indifesa riesca a tenere insieme quel minimo collante necessario per garantire la crescita sana di un bambino. L'amore di coppia, fra due persone, può finire, e questo ahimè è un dato di fatto. Ma non può finire mai invece quello per un figlio, e deve andare a mio parere al di là di ogni ripicca, di ogni egoismo, di ogni frattura all'interno della coppia. Loro non hanno nessuna colpa. Non dimentichiamolo mai. Loro sono figli di un atto di amore, sono l'incarnificazione dell'amore, sono l'unica cosa che può tenere legato, anche a rapporto finito, un madre ed un padre che a mio parere hanno il dovere di mettersi d'accordo, accantonando egoismi reciproci, cattiverie, bassezze, e racimolando certosinamente quel poco d'amore rimasto solo per il bene del bambino. In fondo, loro, non hanno colpe.

domenica 9 settembre 2012

IL FUTURO DEI GIOVANI NELL'AMICIZIA

Conservo un piacevolissimo ricordo del mio viaggio di ritorno dalle vacanze dello scorso Luglio. Ero in stazione a Bologna e mentre attendevo il "pendolino" che mi riportasse a Milano, nella stessa banchina, una folta comitiva di ragazzi si salutava dopo aver evidentemente condiviso un viaggio organizzato di gruppo. Si dice spesso che la vita sia fatta di momenti, di fotografie che si appiccicano come istantanee nella mente e soprattutto nel cuore, ebbene io conservo indelebilmente l'immagine di due ragazzine che si abbracciavano forte in attesa dell'arrivo del treno,una di queste due piangeva come un vitellino, mentre l'altra la rincuorava con frasi affettuose. Ho raccontato questo aneddoto per cercare di spiegare, in poche righe, uno dei fili conduttori di quell'impianto di sentimenti sinceri ed illuminati qual'è l'amicizia. In quel contatto, in quell'abbraccio, ho sentito tanto calore io, cosi' distante da loro, cosi' piu anziano di loro, e ricordo ancora la serenità che quell'incontro mi trasmise nelle ore successive del mio rientro. Abbiamo tutti bisogno di calore, del contatto semplice anche di una mano che prende la nostra, che ci accompagna e che ci da forza. Ne hanno soprattutto bisogno i nostri ragazzi, cosi' fragili, cosi' spaesati, che giustamente guardano al futuro con incertezza visto quanto è già incerto il presente attuale. Per questo ritengo cosi' attuale ancor oggi, a oltre vent'anni dalla sua uscita, il testo di una canzone di Gino Paoli, ovvero "quattro amici", con il gusto di stare insieme, di costruire, di progettare, senza la necessità e l'impellenza di distruggere e sfasciare, come mi pare modestamente di percepire nell'attuale società in cui viviamo. Per poter costruire però bisogna che i giovani credano di nuovo nelle piccole cose, ad amare le piccole grandi cose che la vita (Dio per chi ci crede come me) ci regala, amandole ogni giorno. Quando mi capita di uscire la sera (sempre meno, ma comincio ad avere i miei anni...) non posso fare a meno di notare quanto i ragazzi bevano, spesso smodatamente, per il gusto di lasciarsi andare, forse per scappare dalla realtà, un po' come avviene ahimè per i tossicodipendenti. Cambia il metodo, cambia la "sostanza", il risultato è sempre lo stesso, e non mi pare il caso di andare oltre. Anche io qualche volta mi bevo un bicchiere o un cocktail, mi è capitato quando ero ragazzo di bere qualche bicchiere di troppo ed il risultato non ha portato assolutamente a niente se non a stare male, dentro e fuori. Tornando indietro, non lo rifarei, ma è un'esperienza che mi ha portato a capire quello di cui sto parlando. Per questo faccio mio l'appello del compianto Gianfranco Funari che poco prima di morire, col cuore ormai danneggiato dalle troppe sigarette fumate, disse in uno storico intevento in TV: "non fumate, non fumate", ebbene, mi permetto sommessamente di rinnovare il suo invito non solo per il fumo ma anche a bere con moderazione. Le piu' grandi emozioni della vita, quelle che ti fanno palpitare il cuore e che ti fanno sentire davvero bene, si vivono con l'equilibrio del corpo e della mente, con il sorriso e il buon umore che un
bicchiere di vino, che non ha mai fatto male a nessuno, ti può dare, ma senza esagerare. Buona domenica a tutti.

mercoledì 5 settembre 2012

"MENTRE MILANO SEMBRA DORMIRE, LA VITA E' GIA' VIVA"

"Sapessi amore mio come mi piace partire quando Milano dorme ancora". Cosi' recitava un verso di una splendida e ormai datata canzone di Fabio Concato. E più o meno è questa la sensazione che ho vissuto quando qualche giorno fa sono uscito di casa molto presto, erano le sei del mattino circa, e ho trovato la mia Milano, da me non piu'troppo amata, cosi' pacifica e silenziosa, in quel buio che mi fa capire come l'estate ci stia salutando, mentre qualche luce si accendeva dagli appartamenti dei palazzi intorno a me che pensieroso ma sereno, attendevo il primo autobus del mattino. Una strana ma assai gradevole sensazione di pace che è la pace di cui abbiamo bisogno di questi tempi cosi' ansiosi, pieni di preoccupazione per il futuro, cosi' incerti persino nel presente che viviamo. Mi sveglio di prim'ora per dare inizio alla mia giornata, ma in genere non esco mai cosi' presto di casa e devo dire di essere rimasto sorpreso per quello che ho visto ed incontrato. Mai avrei pensato che già alle sei e mezza del mattino la metropolitana fosse già cosi' gremita di persone da non poter trovare posto a sedere. La vita comincia assai prima di quello che uno possa immaginare... Una vita fatta di persone umili, tanti stranieri, ma anche tantissimi italiani, che magari svolgono un lavoro anch'esso umile, in orari difficili, ma che con grande dignità e forza di volontà combattono le difficoltà di questo momento. Lo so, avrei dovuto forse scrivere "combattono la crisi", ma per un po' non mi va di utilizzare questa parola, almeno oggi non voglio scrivere la parola "crisi" (intanto l'ho già fatto tre volte... :-) ) Osservando qua e là fra le persone intorno a me, ho notato poi come ormai quasi esclusivamente gli stranieri avessero con sè dei bambini. Questo significa tutto e non significa nulla, mi dirà qualcuno. Non lo so, io quello che so è che i bambini sono coloro che riempiono di gioia la nostra esistenza, sono quel sale unico ed indispensabile che da sapore alle nostre vite, permettendoci di credere una volta di più alla famiglia, alla sua importanza come unione di affetti in un percorso comune di vita. Lo so. I tempi sono difficili, crescere un bambino è assai problematico oggi viste le difficoltà economiche e le spese insostenibili per molti, ma forse (io non sono sposato, forse un giorno chissà) è bello poter rinunciare a qualcosa di mio, di nostro, per mettere al mondo e crescere una creatura all'interno di un complesso di luce e di amore quale è, per me, la famiglia. Crediamoci ancora.

sabato 28 luglio 2012

IL GUSTO DI STARE INSIEME NELLE PICCOLE COSE

Basta una settimana lontano dalla vita di tutti i giorni per accorgersi come il mondo al di là del nostro "orticello" sia cosi' diverso da come ce lo immaginiamo, o perlomeno cosi' diversificato, non so se migliore ma sicuramente distante da come la nostra mente lo percepisce dalla tv, per non parlare di internet... Mi è bastato però girare quasi tutte le sere per Riccione (tornarci dopo undici anni, con esigenze diverse rispetto a quelle dei miei vent'anni, è stato molto bello) per vedere come "la crisi" non sia un'invenzione giornalistico-multimediale ma qualcosa di reale, effettivo, e di come però una regione come l'Emilia Romagna, già segnata duramente dal terremoto, provi comunque a valorizzare al massimo quello che ha sfruttando la nuova clientela straniera che oggi la fa da da padrona. Si', mi riferisco proprio a loro, ai turisti stranieri, una volta erano tedeschi, oggi sono russi, tantissimi russi, tante famiglie con mamma papà e figlioli al seguito. Cosi' tanti da pensare di essere fuori posto, da credere di aver inavvertitamente sbagliato destinazione e trovarmi in qualche località del Mar Baltico. No, nulla di tutto questo, ero a Riccione, dopo undici anni, col riuscito intento di riposare corpo e soprattutto mente nel luogo che una volta (ma lo è ancora??) era il regno della vita notturna dei ragazzi, quei ragazzi, che sono sempre meno, e nelle loro facce insoddisfatte ed annoiate mostrano un po' lo specchio dei tempi in cui viviamo. Tornando ai turisti stranieri, ora sono loro, i russi, che tengono in piedi il nostro turismo da quelle parti . Meno male, visto che di pizzerie vuote, di locali vuoti, ne ho visti e siamo all'ultima settimana di Luglio. Mai mi sarei aspettato di vedere questo a Riccione, eppure è il segno ahimè evidente che di soldi ce ne sono pochi, e quei pochi vanno spesi nel modo giusto, solo col gusto di stare insieme, come mi è capitato di vedere oggi, quando rientrando a casa ho visto una famiglia di italiani, fuori dalla fermata del metro, organizzarsi e fare un barbecue all'aperto in un quartiere periferico milanese vicino alla ex sede di una nota casa editrice. Non sarà molto, i soldi saranno ancora meno, ma perlomeno non si è perso il gusto di stare insieme e di essere felici con poco. Recuperando questo, forse, vinceremo anche la crisi.

giovedì 21 giugno 2012

LA FORZA DEL CAMBIAMENTO

Sono sempre piu' convinto che nella vita, per non cadere nella spirale dell'abitudine, occorra avere il coraggio di cambiare. Le lezioni di PNL, unite alla lettura di alcuni manuali, da soli non bastano però per intraprendere questo passo in avanti verso una crescita personale, diversa in ognuno di noi ma pur sempre importante nella sua unicità. Occorre vivere ed accoglierlo Oggi, ad esempio, non nascondo di essere rimasto un po' disorientato quando ho realizzato che il pannello di controllo del mio blog aveva sviluppato una veste grafica totalmente rinnovata nonchè delle opzioni modificate. Queste modifiche mi hanno un po' disorientato, inutile negarlo... Dopo pochi secondi, però, la sensazione di disagio si è trasformata in adattamento, confidenza e controllo, lasciando che le parole fluissero rapide e scorrevoli sulla tastiera, riprendendo cosi' l'attività che prediligo, quella della scrittura in questo spazio di libertà che mi sono concesso. Cambiare è possibile in ogni situazione della vita, in ogni comportamento. Non vuole essere la mia una lezione nè tantomeno un vademecum per spronare chi legge ad attuare comportamenti diversi. Tutt'altro. La mia è solo una cronaca reale vissuta in prima persona di come il cambiamento porti gli uomini ad avvicinarsi a nuove "sfide", a conoscersi meglio dentro di sè, a rinnovarsi costantemente. Cambiare è bello perchè come ho scritto all'inizio del mio contributo, l'abitudine è uno dei peggiori nemici della nostra vita. Scrivo pienamente consapevole di questo concetto, in quanto sono stato e per certi versi sono ancora un abitudinario cronico. L'abitudine di fatto rende l'uomo schiavo delle sue azioni ripetute, lo blocca nella crescita, lo chiude alle novità (anche quelle bellissime della vita, tipo l'amore ad esempio...) che rendono la nostra esistenza un po' piu' colorata e movimentata. Per questo credo nel cambiamento come simbolo di evoluzione e crescita.

domenica 27 maggio 2012

LA MIA FEDE parte I

Parlare di fede non è semplice. E' un argomento cosi' personale, cosi' intimo, quasi da dover essere nascosto, non dico per vergogna (non c'è assolutamente nulla di cui vergognarsi ma tutto di cui vantarsi, mio parere personale) ma per non voler mancare di rispetto a chi la fede non ce l'ha e magari vorrebbe averla, o forse non gliene importa nemmeno nulla di averla. Noi crediamo di essere felici con il consumo dei beni materiali, che ci regalano in realtà una gioia effimera, non duratura. Ce lo insegnano gli orientali, ce lo dice soprattutto il nostro stato d'animo dopo qualche tempo in cui usufuriamo di un oggetto, prima adorato,e poi, inesorabilmente, dimenticato. La gioia piu' grande della vita sono gli affetti. L'affetto, al singolare, verso le persone che noi riteniamo importanti, come la famiglia, gli amici. Questo affetto è fratello stretto dell'amore, e l'amore da qualche parte arriva. Se come qualcuno pensa, ed è liberissimo di farlo, che tutta la nostra esistenza è un puro caso o un'equazione matematica impossibile, potrebbe spiegarmi da dove arriva l'amore, e perchè esiste. Io la mia risposta ce l'ho, ed è Cristo, Dio che si fa uomo e carico di tutti i nostri peccati, su quella croce l'amore trionfa incondizionato, piu' forte del male, piu forte delle paure e dell'incostanza di noi umani.

domenica 29 aprile 2012

CREDERE IN LUI PER CREDERE IN NOI

Quando guardo i filmati d'epoca in televisione, in particolare quelli degli anni sessanta, durante il boom economico, vedo che la fiducia nel futuro totale. La gente aveva trovato il benessere, le industrie producevano, sembrava che questo trend non potesse mai avere fine. Cosi' però non fu, negli anni settanta ci fu la crisi, disoccupazione, petrolio alle stelle, classe operaia in rivolta, e ahimè anche fenomeni deprecabili come il terrorismo di ogni colore politico. Negli anni ottanta ci fu un altro boom. Di nuovo l'economia riprese a viaggiare, la gente riprese persino troppa fiducia in se stessa tanto da sconfinare in un eccesso di individualismo da far ricordare quel periodo come eccessivo, ridondante, vedi l'edonismo reganiano e le griffes sui vestiti che impazzavano.
Gli anni novanta furono invece lo sparti acque fra la fine di un'era, quella industriale, e l'inizio di quella telematica, con l'accesso di internet. Tutto divenne veloce, rapido. Direi quasi frenetico E via discorrendo. Ora siamo nel 2012, l'epoca della globalizzazione è iniziata da un decennio e sostanzialmente sembra che siamo entrati nell'era del pantano, in cui le sabbie mobili di un mondo globale tendono a rendere sempre piu frenetiche le operazioni. Di conseguenza, il pantano della globalizzazione ci ha resi tutti piu vulnerabili, piu poveri, sia in tasca, sia dentro di noi. E in tutto questo, che valore hanno le persone? L'incertezza per il futuro è tanta. Torniamo a credere prima in noi, in Lui, perchè è solo credendo in Lui che possiamo tornare a credere in noi e ad un futuro migliore

sabato 7 aprile 2012

UNA NUOVA CREAZIONE



Nell'augurare a tutti una Pasqua di Gesu' (perchè tale è, altrimenti davvero diventa una festa solo per stare insieme, con la Colomba per gli adulti e l'ovetto a tavola per i bimbi...ma è solo il mio modesto parere ) serena e piena di gioia, rifletto su una frase del Pontefice di ieri che mi ha molto colpito:
"La Pasqua è una nuova creazione".
Non amo molto disquisire di temi religiosi qui, sono credente ma rispetto chi non lo è, ma credo che questa frase, indipendentemente da come la si pensi sul Vaticano e sull'operato della sua massima figura, sia assolutamente da condividere per il significato profondo e reale che sta dietro la festa che celebriamo ogni anno in primavera.
Che sia una nuova creazione per tutti, una rinascità dalle ceneri del peccato per tutti noi, già in questa vita, in attesa di quella che ci attenderà quando questa vita terrena cesserà.
Auguri a tutti

giovedì 5 aprile 2012

SERVIZI VINCENTI: Parte II


... Ora però non c’era più tempo per pensare, l’arbitro di sedia aveva chiamato il tempo e si era pronti a giocare.
Iniziò deciso Geronimo. Primo punto, servì una prima palla con una violenza inaudita, con tutta la forza che aveva nel braccio, come se avesse un cannone da far espoldere senza alcuna forma di controllo.
Ace. Andersson immobile come una statua di sale.
Un’ovazione del pubblicò precedette l’annuncio del giudice di sedia, secco e vibrante
“Fifteen love-quindici zero”.
Gli venne subito in mente la sua infanzia ricca ed opulenta. Il padre, titolato del fregio di “commendatore”, era stato insignito dell’Ambrogino d’Oro per lo sviluppo e l’ammodernamento della rete idrica in città. Era un uomo generoso Filippo Bardazzi, amato dal popoli degli “sciur” come dai “puverett”, tanto da prestarsi spesso ad opere di carità nascoste verso i meno bisognosi. Di suo padre ricordava questo, cosi come le domeniche mattine trascorse al laghetto dei Cigni a Milano 2, mentre sul piazzale i primi appassionati di macchine radiocomandate si dilettavano a chi faceva piu volte rotolare quelle che papà Filippo, sempre fiero ed orgoglioso della sua milanesità, chiamava bonariamente “caciavitt”.
La madre, una ricca ereditiera imparenata con i conti Borromeo, era la classica donna snob milanese con la puzza sotto il naso talmente forte da indossare una maschera anti gas al solo contatto per non rimanerci contaminato. Una donna gelida, senza arte né parte, la cui massima aspirazione era mostrare nelle serate fra amici l’ultimo visone acquistato, l’ultimo collier ricevuto in dono.
Tutto questo gli frullava in testa mentre Andersson gli era scappato via di un break e conduceva 4 a 1. Stava giocando male, ma non se ne curava più di tanto. La concentrazione era sulla partita della sua vita, quella che lui stava perdendo in modo ancor più netto rispetto a quella sul campo.
Andersson lo faceva spostare da una parte all’altra del terreno rosso come una trottola vibrante, lo irrideva con delle palle corte che lo lasciavano sulle gambe a tre metri di distanza dalla linea di fondo. Qualcuno dagli spalti cominciò a dissentire, qualcuno da casa probabilmente aveva già cambiato canale…
Non aveva presenza mentale. Continuava a tirare colpi fuori di due metri tanto per tirarli, un po’ come quando si trovava con il gruppo di suoi amici al casino di Saint Vincent, giù fish su fish solo per il mero gusto di buttare via soldi, di scappare dallla realtà. In realtà stava solo scappando da se stesso, dalla sua voglia di diventare uomo. E gli stava anche scappando l’incontro della vita. Andersson conduceva 6-1 4-2. Lo stava annichilendo.
Ad un certo punto sentì un urlo venire dagli spalti. Un signore di mezza età, dall’incondifibile accento romano, lo affrontò verbalmente durante un ennesimo fallimentare turno di battuta:
“Aooooooooooooooo, tirali fuori sti coioniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii se ce li haiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!”
Era la scossa che nemmeno lo sguardo perso nel vuoto di Katia era riuscito a trasmettergli. Amava questa donna, sapeva che era il suo spartiacque da un’adolescenza che non voleva finire ad un’età adulta che si rifiuta di vivere. Tenne un turno di battuta e cominciò a cambiare tattica. Decise di aspettare l’avversario e di farlo venire avanti, scavalcandolo prontamente con dei pallonetti liftati alternati a dei passanti di dritto che lo infilavano di forza come un pollo allo spiedo.
Come direbbero i commentatori esperti sul pezzo, era girato il match. Andò a servire per il secondo set e riuscì a farlo suo, chiudendo il punto finale con una voleè di dritto smorzata, morbida, dolce, quasi impercettibile per il suono soave che la pallina procurò al suo contatto con la terra rossa.
Nel toccare la palla al volo riusciva a far riecheggiare in lui le sue prime cotte adolescenziali, quel modo unico di sentire la pelle profumata di vaniglia sul collo di una ragazzina e farla propria sfiorandola appena al contatto con le labbra. La dicotomia del suo essere dolce nelle coccole come nello stoppare la pallina al volo strideva con la violenza dei suoi colpi da fondo campo, paragonabili a quelli pelvici che infieriva alle belles de nuit di qualche elegante bordello monegasco. Ma era così, era lui, tutto ed il contrario di tutto. E non voleva cambiare.
Ora si sentiva forte e nel pieno controllo della situazione. Lo svedesone non gli faceva più paura, e gli insulti di qualche minuto prima si erano tramutati in cori da stadio. Dalla tribuna vip spiccavano le figure dei miti del tennis italiano, quella appesantita di Adriano Panatta e quella dai capelli grigio platino, sempre uguale nella classe infinita che sprigiona, di Nicola Pietrangeli. Lui era ad un passo da loro, dal superarli forse addirittura, perché la gente scorda facilmente il passato per lasciare spazio alle emozioni più recenti, forse più intense, forse meno facili da rimuovere…

Si andò al tie break del set decisivo. Stava riprendendo a farsi prendere dalla foga e dall’ansia, quella faìna maledetta che da anni si annidava dentro di lui facendogli perdere treni importanti nella sua carriera. Stava riprendendo a viaggiare nella sua testa, e non era più in partita. I pensieri dentro il campo del suo cervello erano come palline impazzite che lo bombardavano da ogni parte del rettangolo di gioco. Allo stesso modo Andersson lo stava prendendo nuovamente a pallate. Era sempre stato scostante, nella vita, incapace di essere un padre presente, nel lavoro, arrivando in fondo a tornei importanti e poi perdendo svariate volte al primo turno con avversari mediocri, spesso perché la sera prima la passava a fare gozzoviglie in giro per la città. Ora il match stava per chiudersi e lui non sapeva perché lo stesse buttando via, proprio come la sua vita.
Lo svedesone Andersson era il suo esatto opposto. Biondo, capelli lunghi, era una copia malfatta del leggendario Bjorn Borg. Del campione degli anni settanta ricordava la plombe con cui accettava ogni situazione sfavorevole, l’assoluta gelidità nel porsi davanti alle situazioni come se tutto quello che accadesse intorno a lui non lo riguardasse. Tutto ciò che Geronimo aveva sempre detestato, lui, così anticonformista, rasato a zero e con un orecchino a croce sul lobo destro, come amava dire, non assomigliava a nessuno.
Di fatto ora lo spilungone nordico conduceva per sei punti a tre ed aveva quindi tre match point. La partita era segnata, l’orologio posto ai bordi del campo segnava due ore e trentacinque miuti di gioco…

EPILOGO

Non aveva mai amato sentirsi dire cosa fare dagli altri. Era sempre stato uno spirito libero. Gli venne in mente quando tirò una pallina in faccia al suo primo allenatore di categoria, reo di averlo rimproverato perché non voleva che fumasse a quattordici anni e si presentasse agli allenamenti in infradito.
Andersson stava servendo per il match. Per altri cinque minuti Geronimo invocò l’altissimo affinchè riuscisse a fargli recuperare quel minimo di concentrazione necessaria per chiudere in bellezza l’incontro, con dignità. Fece ricorso poi ad ogni sua risorsa interiore per trovare la presenza mentale dentro di sé.
Andersson fece doppio fallo sulla prima palla del match. Tutto il pubblico, oltre che l’avversario, scoprì che lo svedesone era un uomo in carne ed ossa, che non aveva dei tubi d’acciaio al posto delle vene. Provava anche lui delle emozioni.
Sul secondo patch point Andersson picchiò una prima palla così forte da far piegare il braccio ad un lottatore di wrestling. Ma non aveva fatto i conti con chi aveva davanti a lui, il genio e sregolatezza del tennis, il mito e vaso di Pandora della vita. L’alterego indiano di Geronimo rispose di rovescio con un riflesso cibernetico, e la pallina come scheggia impazzita si infilò all’incrocio delle righe, mentre lo svedese rimase a bocca aperta con le gambe impiantate sul terreno, e lo sguardo perso nel vuoto.
Toccò nuovamente a lui servire, e sentiì nuovamente quella goccia indisponente di sudore cadergli sul naso dalla fronte. Ma non ci fece caso. E’ solo sudore, è solo acqua sporca, disse fra sé e sé. Sparò un proiettile imprendibile di dritto in lungo linea e si portò sul sei a cinque. Aveva un match point e lo poteva giocare sul suo servizio.
Il campo centrale del foro italico si era trasformato in un arena degna delle corride di Pamplona. Nessuno poteva immaginarsi all’inizio del torneo che un trentenne ormai a fine carriera, dileguato dai debiti per colpa della sua vita dissoluta, fatta di vizi, stravizi, orge, ed investimenti sciagurati, potesse di nuovo alzare la testa e sorprendere tutti.
Nessuno tranne lui. Senza pensare troppo a tutto questo, servì dal lato destro del campo la quinta prima palla consecutiva. Decise, per una volta nella sua vita, di controllare la sua esuberanza, di calibrare le sue emozioni, di morigerare la propria supponenza. Optò per una prima palla a tre quarti di velocità, dandosi eventualmente la possibilità di giocare il punto con degli scambi lunghi, magari con pazienza, requisito a lui sconosciuto nei precedenti trent’anni della sua vita.
Ma non ve ne fu bisogno.
Il colpo partì da destra verso sinistra diretto in centro. Andersson si allungò con tutti i suoi centonovantaquattro centimetri di altezza nel vano tentativo di riuscire a rispondere. Toccò appena la pallina ma senza riuscire a rimandarla dall’altra parte del campo. Per la nomenclatura tennistica trattasi di servizio vincente.
Di fatto era punto, era partita, era vittoria.
Alzò le braccia al cielo ricordando a molti quel ragazzo pel di carota che vent’anni prima vinse il torneo di Wimbledon da adolescente. Lui non lo era più da un pezzo, ma aveva lo stesso entusiasmo, la stessa voglia, la stessa carica di un diciassettenne.
Capì in quel momento,mentre il pubblico lo osannava, e le tv lo assediavano, che a volte nella vita non è necessario fare punto con un colpo solo, ma è sufficiente anche, solo e soltanto, un semplice servizio vincente.

mercoledì 4 aprile 2012

SERVIZI VINCENTI: Parte I


In attesa dell'articolo pasquale, oggi inserisco la prima parte (e stasera la seconda) di un racconto che scrissi alcuni anni fa.

Spero possa piacervi. E' leggero, non sono Proust, ne sono consapevole... :-)


Servizi Vincenti

C’è sempre un effetto particolare, direi quasi eccitante, nel vedere quella goccia di sudore cadere dalla fronte di un tennista al suo turno di battuta. E’ il simbolo della sofferenza, della fatica, di quel momento in cui ti ritrovi di fronte il tuo avversario e senti questo zampillo d’acqua acida che ti scende dalla fronte e cade dispettosa sul naso mentre la tua testa, ogni singolo centimentro di ogni singolo neurone, spartisce l’ordine di sparo al braccio.
Era il suo momento. Finalmente.
Aveva lottato molto per raggiungere la finale. Aveva superato avversari ostici, che in precedenti tornei gli avevano fatto mangiare la terra (rossa) mentre ora si dovevano inchinare alla sua classe, al suo talento, alla sua voglia di vincere.
Dopo dieci anni di una carriera quasi anonima, passata a giocare tornei minori solo perché a casa c’era una famiglia da mantenere, o più realisticamente perché se la faceva addosso a prendere un volo intercontinentale a settimana, Geronimo Bardazzi era riuscito nell’exploit di raggiungere la finale degli Internazionali d’Italia. Dopo oltre trent’anni, nel ricordo dell’ottavo Re di Roma Adriano Panatta , ora tutto il Foro Italico era ai suoi piedi, tutta l’ Italia lo guardava in tv con trepidazione. Tutte quelle paure, quelle ansie, erano solo un vecchio superato ricordo. Almeno così pareva.
Dall’altra parte del campo, lo svedese Thomas Andersson. Ma questo non importa a nessuno, al di là della rete c’è l’avversario, chiunque egli fosse, metafora incarnata della vita, che ora si proponeva davanti ai suoi occhi come una dama maliziosa che ammicca suadente, pronta però a colpirlo senza pietà e a farlo correre come un tergicristallo da una parte al’altra del campo. Se la stava facendo sotto un’altra volta, sotto sotto, come un bambino dell’asilo la prima volta fuori dal vasino di casa sua, ancor prima di cominciare a correre.
Scesero dagli spogliatoi ed un ammasso confusionario e disordinato di fotografi, come tradizione e logica vuole in Italia, li attendeva accovacciati ed ammassati ai lati del serpentone che collegava gli spogliatoi all’ingresso del campo centrale. Un applauso fragoroso, seguito da un’ovazione all’annuncio del suo nome da parte del giudice arbitro, ruppe il ghiaccio fra l’attesa interminabile e l’inizio del match.
Guardò fisso verso le tribune, salutò svogliato sua moglie seduta una fila dietro il sindaco ed altre celebrità. Katia era lì, a sostenerlo, ancora una volta, malgrado le sue notti brave a Milano Marittima fra fiumi di Moet Chandon e bollicine, infinite linee di polvere bianca sniffata sulle cosce bollenti di navigate professioniste del meretricio d’alto bordo. Narrano le cronache della Milano bene di un’intera nottata trascorsa fra discoteche e piste ( quelle da ballo erano già parte delle discoteche stesse) talmente sfrenata che al suo ritorno a casa sua moglie lo avrebbe preso a zoccolate sui denti facendolo scendere in boxer giu dalle scale, come il peggiore degli amati colti, mai termine fu piu azzeccato, in fallo... (to be continued...)

CORAGGIO DA VENDERE...




Mi sono sempre di piu reso conto che nella vita conta chi ha coraggio. Lo so, sembra scontato, ma se ci si pensa bene non è cosi'. Le persone che hanno coraggio sanno affrontare le situazioni a viso aperto, senza essere attanagliati dalla paura, non esiste la paura, non esiste l'idea di fallire semplicemente perchè il fallmento non esiste, non è un insuccesso ma solo un risultato di un'attività, che porterà ad altre attività con risultati a loro volta differenti.
Fallisce solo chi non agisce.
Pertanto, invito chi legge, adesso, ad agire, ad avere coraggio, sul lavoro, nei sentimenti, senza incoscienza, preservando se stessi,ma laddove è possibile non rinuciare mai a provare ad essere felici.
Notte a tutti

lunedì 2 aprile 2012

IL MIRACOLO DELLA PRESENZA MENTALE


Anni fa mi avvicinai, per sole ragioni di cultura personale, alla cultura buddista, una filosofia di vita o religione che per molti aspetti ha dei punti di contatto col Cristianesimo. In questo mio "avvicinamento", ricordo il titolo di un libro che mi colpi' particolarmente, evocativo e per certi versi emblematico: "Il Miracolo Della Presenza Mentale".
Non vi è dubbio che in un mondo schizofrenico come il nostro, in particolare nella società occidentale, la capacità di saper avere autocontrollo e concentrazione sulle situazioni sia divenuta assolutamente necessaria, se non imprescindibile.
Il fatto però che spesso arrivi a venir meno "l'autocontrollo" non vuol dire però avere quella che i saggi orientali chiamano piena "presenza mentale".
Se ben ci pensiamo, sono sempre meno i momenti in cui operiamo in piena autonomia con il nostro cervello. Il piu delle volte ci capita di esercitare azioni quotidiane, come il guidare, il lavare i piatti, anche guardare un programma tv, e avere la testa che va completamente altrove, e come un mulino ad acqua di campagna, gira e macina pensieri lungo la testa, per minuti, a volte anche per ore.
Tutto questo, inevitabilmente, ci porta a perdere il contatto con quello che stiamo facendo in quel momento, ci porta ad essere pertanto poco lucidi nell'affontare le situazioni, a creare spesso delle situazioni inesistenti, delle aspettative esagerate, o piu' semplicemente a non farci ottenere dei risultati positivi nelle nostre attività quotidiane, che siano lavorative o meno.
La presenza mentale è un'allenamento alla piena consapevolezza di sè, aumenta l'autostima, aiuta ad essere il più aderenti possibile al momento che si vive. Di questi tempi, è davvero oro colato, il miracolo della presenza mentale.

domenica 1 aprile 2012

IL GIUSTO SAPORE



Non sempre è facile scrivere cercando di non essere banali, ovvi, col solo intento di voler lasciare un messaggio di pace e di speranza.
La pace e la speranza in un futuro migliore è per me nella valorizzazione dei sentimenti, vederli come un buon piatto succulento che va però condito con gli ingredienti del giusto impegno nel dar loro il giusto sapore.
Qualche giorno fa assistevo alla Via Crucis e mentre mi voltavo, è stato bello vedere il modo in cui una giovane coppia assisteva e viveva questo momento di spiritualità. Nei loro occhi si percepiva il senso della condivisione, quello spirito che dovrebbe sempre unire non solo le coppie che si amano, ma anche le persone che si frequentano, e che, teoricamente, si rispettano
Nella società delle emozioni preconfezionate usa e getta mi piace ancora pensare che esista ancora la cultura dei sentimenti, dei bei gesti, del buon cuore senza finti buonisimi da "Libro Cuore" ma con il solo intento di dare il giusto sapore a quel piatto che ci è stato dato, a volte piu' dolce, a volte piu'amaro, chiamato vita.

sabato 31 marzo 2012

SENZA IDOLI, UNA PASSIONE, UN TEMPO SFRENATA, ORA "RALLENTATA"...


In Italia il calcio è una religione. Da sempre questo sport unisce, e ahimè forse piu' spesso divide, il popolo dello stivale che fa del gioco del pallone una passione al limite dell'ossessione, per citare Marx, un vero oppio dei popoli, in questo caso del popolo tricolore.
Chi scrive è un appassionato, tifoso del Milan da sempre. Amo il calcio in quanto lo ritengo uno sport bellissimo, completo dal punto di vista fisico e tecnico, divertente quando è giocato con passione.
La passione però sta diventando ossessione, e vedo molte persone che dedicano a questo passatempo una quantità di energie nervose e fisiche finanche eccessive, tanto da ritenere il calcio come la loro principale ragione di vita.
Ognuno, come dico sempre, dispone della propria vita come meglio crede....
Non nascondo che questo calcio non mi fa impazzire. Vedo le partite, sono contento se il Milan vince, non mi ammazzo se il Milan perde. Resta sempre una partita, finisce là.
Allo stesso modo non provo più attaccamento per i calciatori che vestono la maglia della mia squadra del cuore. Non li disprezzo , per carità, ma i calciatori di oggi sono lo specchio del calcio contemporaneo e non riesco a vederli come "idoli", cosi' come quando da ragazzo impazzivo ogni volta che vedevo Baresi entrare in scivolata o uscire palla al piede dall'area a testa alta, per non parlare di Van Basten, la cui classe veniva fuori sempre nelle partite piu difficili, a differenza di altri di oggi che oggi sono forti coi deboli e deboli coi forti...
Il riferimento è chiaro, non c'è bisogno che spieghi a chi mi riferisca.
Non vado allo stadio con continuità da tanti anni se non sporadicamente (una, due volte l'anno comprandomi il biglietto) e non ne sento la nostalgia. L'unica cosa che mi manca è la visibilità dal campo,poichè solo dalle tribune vedi come si muovono realmente i giocatori, come sono disposti in campo senza l'inevitabile appiattimento delle immagini reso dallo schermo televisivo.
Per contro, gli insulti, gli sputi, il basssissimo livello di cultura sportiva e la carenza di famglie al suo interno fa si' che preferisca starmene comodo in poltrona a guardarmi una partita, fino a quando non mi passerà la voglia e cambierò canale optando per un buon film.

venerdì 30 marzo 2012

IL PERDONO E' LA VITTORIA DEI FORTI


"Alla ripetitività mortificante della vendetta occorre sostituire la novità liberante del perdono".
Solo dalla mente lucida e dal cuore illuminato d'amore di Giovanni Paolo II poteva uscire un'afferamazione talmente forte da farci fermare a riflettere, anche solo per pochi minuti, sulle logiche assurde di rivalsa che dominano i rapporti umani, di qualsiasi tipo, all'inizio del terzo millennio.
Chi mi legge da tempo sa che non amo fare le paternali, non credo di essere in grado di poter dire a chicchessia "questo è giusto, quello è sbagliato". Io riporto dei fatti, delle situazioni, dei sentimenti (qualche volta, quando serve) e delle frasi, come in questo caso, e provo a far riflettere chi legge e sopratutto chi scrive.
Chi sa perdonare è veramente un rivoluzionario, un uomo che sa andare al di là delle facili rivalse, è un innovatore in grado di liberare se stesso e chi lo circonda dal male. Perchè in fondo, vendicarsi altro non è che raddoppiare il male subito. Usando una metafora calcistica a me cara, nella partita della vita che ci è stato concesso di disputare, sta a significare che il Male raddoppia 2-0 sul bene. Questo non dovrebbe mai accadere.
La vendetta di per sè è una liberazione apparente, come l'idea di togliersi un peso di dosso che sembra insormontabile ma che genera altro astio, altri rancori, ed invita chi la usa (lo so bene perchè mi sono vendicato pure io parecchie volte...e ho parlato ancora di me, mannaggia...:-) a rifarlo nuovamente, in un circolo vizioso di "ripetitività mortificante" da cui sembra impossibile poter uscire. Lo vediamo ahimè sempre nella vita quotidiana, sul lavoro, per non parlare (e questo è piu'grave) fra persone che un tempo si amavano e che ora magari non si amano piu, incapaci di lasciarsi come persone civili (o ancor meglio provando a riconciliarsi) continuano invece una commedia di ripicche e veleni basata, appunto, sulla vendetta costante, ripetitiva, mortificante e desolante.
E allora va da sè che in questa frase di Giovanni Paolo II c'è il rispecchiamento quasi fedele dell'insegnamento di Cristo basato sulla necessità di entrare per la porta stretta, magari piu faticosa, piu irta di ostacoli ( mi rendo perfettamente conto che perdonare è difficile a volte, non oso pensare chi abbia invece subito un torto gravissimo, o la perdita di una persona per un omicidio, vedi il padre di Erika al quale ancor oggi mi tolgo il cappello) ma che indubbiamente libera dal male, lo vince e rende le nostre vite più piene, e perchè no, anche un po' piu' originali rispetto alla monotonia nera ed amara del mondo in cui viviamo.

giovedì 29 marzo 2012

PRIME IMPRESSIONI E PROIEZIONI



Oggi vorrei scrivere due righe sulle proeizioni. No, non mi riferisco ovviamente a quel disegno tecnico che ti insegnano alle scuole medie, e nemmeno a quelle di voto prima di ogni elezione in televisione.
Mi riferisco altresi' alle proiezioni, filmati, cortometraggi piu' o meno avvincenti che la nostra mente si crea in maniera autonoma, come se fosse necessario sfuggire dalla quotdianità per creare, comporre, scomporre, e poi ricomporre immagini diverse a proprio piacimento.
Mi sono accorto che questo tipo di meccanismo non è sempre gestibile, e sopratutto non è sempre evitabile. Siamo esseri umani, ed inevitabilmente ci capita di avere dei desideri, delle speranze, delle ambizioni e d'immaginare situazioni di svariato genere, movimentando la pellicola sempre attiva del nostro cinematografo chiamato "mente".
Per realizzare tali situazioni occorre avere decisione, determinazione, e soprattutto avere ben chiaro l'obiettivo, qualunque esso sia (lavorativo, finanziario, affettivo) senza idealizzarlo, perchè tanto le cose non sono mai come le pensiamo. Qualche volta però, persino meglio di come le pensiamo. E sopratutto molto meglio di come le vediamo per la prima volta, in una prima impressione, creata sempre dalla nostra mente, simpatica scimmietta da tenere a bada per il nostro bene quotidiano.

venerdì 23 marzo 2012

TRUE COLORS (I COLORI VERI)


A volte succede che ascoltando una canzone si trovi l'ispirazione per scrivere un articolo. E' proprio quello che è successo a me ora mentre digito sulla tastiera al ritmo di "True Colors" di Cindy Lauper, un bellissimo pezzo lento di venticinque anni fa circa.

Il testo recita "I see your true colors shining through..." . Vedo i tuoi colori che traspaiono, che si vedono nitidamente. Ed è proprio questo a cui penso stasera, quali siano i veri colori delle persone che sono intorno a noi, nella nostra vita, con le quali condividamo momenti più o meno intensi, da un'intera estenuante giornata di lavoro o anche un semplice caffè al bar al mattino, in pausa, solo per stare insieme, e guardare intorno a noi i colori che ci circondano.

I colori sono la manifestazione della magia del creato. Non oso pensare come sarebbe la vita in bianco e nero, ancor meno, quando mi capita d'incontrarne qualcuno, al nero assoluto, senza la possibilità di poter vedere. Chissà come sono i veri colori di chi non vede, come se li immagina. Non lo sapremo mai.

Mi auguro che i veri colori delle persone che invece hanno la fortuna di vedere, come chi scrive, siano quelli della luce di questi giorni di primavera già entrata in modo dirompente nelle nostre vite, l'azzurro del cielo un po'offuscato da questa nube di smog che avvolge sempre Milano, la mia Milano cosi' invecchiata, cosi' ingrigita. Quali sono i veri colori di Milano, a volte penso, quando guardo le foto d'epoca che un mio collega ogni tanto mi invia, quando "Lambrate" e "Crescenzago" erano ancora dei paesini, e a Monza ci si arrivava in Tram percorrendo, in tram appunto, Viale Monza.

Mi domando a volte persino quali siano i colori della persona che scrive quest'articolo. Ma tutto ciò non credo possa interessare a nessuno, anche perchè avevo promesso di non parlare mai (o quasi ) di me. E tu, quali sono i tuoi veri colori?
Don' t be afraid to let them show you your true colors, are beautiful, like a rainbow...

lunedì 19 marzo 2012

UNA FESTA CHE RESISTE



In questi tempi multimediali fatti di connessioni superveloci, relazioni repentine che nascono e muoiono con la velocità di un "click", è bello altresi' vedere che ancora alcune tradizioni della nostra infanzia resistano all'usura del tempo, alla schizofrenia disinteressata dei nostri giorni.
Il mio riferimento è alla ricorrenza di oggi, la festa del Papà, che innegabilmente a tutti quanti noi fa riecheggiare i tempi dell'infanzia, nell'intrecciarsi dei ricordi che riaffiorano pensando a tutti i momenti in cui la figura paterna resta indelebile nel nostro cuore, agli insegnamenti, persino ai rimproveri, magari da noi poco accettati da ragazzi ma poi, a posteriori, ritenuti quanto mai opportuni e determinanti per la nostra crescita.
Il padre è ancora oggi figura cardine in quella struttura la cui parola oggi viene spesso abusata ed utilizzata più per propaganda che per altro: la famiglia.
Per questo mi piacerebbe che oggi tutti coloro che hanno ancora la fortuna di avere il proprio papà potessero dedicargli anche solo un abbraccio, una parola di ringraziamento, uno scambio di energia fra padre e figlio che solo padre e figlio possono capire fra di loro nel legame indissolubile che li unisce.
Il mio abbraccio piu affettuoso va invece a chi il Papà non ce l'ha piu', in particolare a due miei cari amici che lo hanno perso di recente. Oggi per loro questa festa ha un sapore intriso di dolore e di tristezza. Sono vicino a voi, e questo mio scritto è dedicato a voi, e al vostro papà, nel suo dolce ricordo.

sabato 17 marzo 2012

LA POLITICA DEI FURBETTI



Da quando in Italia la politica è stata "momentaneamente" sostituita dal governo dei tecnici, ci siamo accorti tutti dell'aumento dei controlli verso truffatori, evasori fiscali perpetui, e falsi invalidi, alcuni di essi addirittura colti in flagrante...
Tutto questo non può che essere accolto positivamente, era ora che finalmente venisse a galla quel sommerso di furbacchioni che da anni vive sulle spalle di chi onestamente paga le tasse e non prova a raggirare il prossimo.
Quello su cui vorrei però riflettere è il cambio di mentalità necessario affinchè questi comportamenti non si verifichino piu', perchè sappiamo tutti benissimo che i furbi,in questo paese, ci saranno sempre perchè sono figli di una cultura dell'inganno e del non rispetto delle regole che in Italia, dalla notte dei tempi, la fa da padrona.
Occorre, per entrare in una nuova ottica della cultura civica, una rivoluzione copernicana del nostro modo di pensare, passare dall'estetica del "piu'furbo passa avanti" al concetto di "si aspetta pazientemente in fila anche per due ore".
La scuola in questo senso dovrebbe svolgere un ruolo molto importante, nonchè la famiglia con l'educazione verso i figli...
Sono concetti spicci, triti e ritriti, ma che potrebbero se attuati portare anche a cambiare il nostro paese, senza costringerlo alla benzina a 2 euro al litro o all'Iva al 23%.
Temo che questo mio desiderio rimarrà inevaso. Altro che albero dai rami fatati!!

venerdì 16 marzo 2012

ADELE E L'ALBERO DAI RAMI FATATI...

Un giorno Adele mi condusse verso l'albero dai rami fatati. Avevamo dodici o tredici anni, e nella nostra innocenza ci piaceva trascorrere qualche oretta insieme al pomeriggio per discutere dei nostri sogni, dei nostri desideri, del nostro futuro.

Ma mai Adele fino ad allora mi parlò di questo albero. Mi ci portò quasi di sorpresa, un pomerggio verso la fine della scuola. Era primavera ma faceva già tanto caldo. Ah si' ora ricordo, avevamo quasi quattordici anni, stavamo preparando gli esami di terza media e appoggiammo i libri di matematica ai piedi dell'albero. Non volevamo studiare.

"Tu non lo sai, ma questo albero è magico, tu tiri uno dei suoi rami, piano piano, senza fargli male, ed un tuo desiderio si realizzerà", mi disse Adele con quella voce figlia della sua innocente adolescenza in fiore.
Io, sempre dubbioso, sempre scettico, sempre timoroso, mi avvicinai e tirai uno di quei rami con delicatezza, quasi con timore, per poi esprimere un mio desiderio.

Sono passati oltre vent'anni, e Adele oggi chissà dov'è, mentre io sono qui che attendo e vorrei tanto poter tirare ancora, piano piano, quel ramo dall'albero fatato.

Ancor oggi quel mio desiderio è in attesa di essere esaudito,ma poco importa. Quell'albero mi ha insegnato ancora a credere nel chiedere, e ad aspettare con paziena e gioia ogni momento che vivo.

LE GIUSTE DOMANDE




Mi rendo conto a volte di ripetere sempre le stesse cose. Ma i concetti base restano e solo su quelli vale la pena per me soffermarsi in questo spazio di libertà, in cui si parla di tutto, da argomenti frivoli ad altri piu profondi, sempre con la voglia di trasmettere un messaggio, e di condividere magari delle emozioni.
La tragedia della morte dei bambini in Belgio mi ha fatto molto riflettere, e ritorniamo sempre a quel concetto un po' abusato di "senso della vita", e quella riflessione a me tanto cara del mio professore di matematica di liceo, ovvero "distinguere le cose che contano da quelle che non contano".
Nella nostra vita, cosa conta veramente? I soldi, i beni materiali? a che punto mettiamo i sentimenti, le amicizie, l'amore, le relazioni interpersonali?
Sono domande di una banalità mortificante, me ne rendo conto. Ma sono le domande che bisogna porsi. Non con dei "perchè" inutili, ma dei "come" illuminanti...ad esempio "come posso fare per rendere piu luminosa ed importante la mia vita?"...oppure "come posso agire per sentirmi realmente bene?"
Non ho mai amato filosofeggiare, non è mio interesse spiegare agli altri come vivere la vita. Non sono nessuno per potermi permettere di fare questo. Ognuno dispone di questo dono di Dio (per me), o del caso (per chi non ci crede)quale è la vita come meglio ritiene opportuno.
L'importante però è sempre porsi le domande giuste, e avere soprattutto, come diceva Oscar Wilde, le risposte adeguate.

domenica 11 marzo 2012

LA COERENZA FRA "BANDERUOLA" E ROCCAFORTI DEL PENSIERO...


"Nel mondo mutabile e leggero costanza è spesso il variar pensiero..."

Aveva visto giusto Torquato Tasso in questo suo passo tratto dalla sua "Gerusalemme Liberata". Oggigiorno, dai politici alla vita di tutti i giorni ci capita di ascoltare discorsi di persone che affermano, in un battito di ciglia, l'esatto contrario di quanto espresso solo poco tempo prima. In qualche caso il lasso di tempo è talmente breve da suscitare persino il dubbio in chi ascolta sulla possibilità che in precedenza si fosse letta o ascoltata un'affermazione di diverso tenore.
Credo che cambiare idea nella vita sia segno d'intelligenza. Solo chi si arrocca dietro le proprie convizioni per letterale spirito di "coerenza", senza aprirsi agli altri e magari di conseguenza anche alla possibilità di aver sbagliato, non potrà mai sentirsi realmente "libero" cambiando idea.
E' altresi' vero però che in molti agiscono in questi termini per puro interesse, cercando di "depistare" le carte, oppure proprio con la faccia tosta di chi non ha il coraggio delle proprie idee cambiando sempre per mera convenienza magari a danno di chi ascolta. Sono quelli che una volta venivano chiamati nel linguaggio comune "banderuola".
Allora dovesta la verità? Io credo che nella vita occorra essere "aperti" tenendo conto che la ragione può non stare dalla nostra parte, e che abbiamo sempre qualcosa da imparare. L'importante è essere coerenti nei modi e nella convinzione del nostro pensiero, coerenti anche nel coraggio di saper dire :"ho cambiato idea sul tema, prima la pensavo in modo diverso, lo riconosco, avevo sbagliato.". Questa è la vera coerenza nel coraggio delle proprie idee, senza roccaforti nè banderuole.

sabato 10 marzo 2012

CORRERE IL "GROSSO" RISCHIO...

Secondo me non esistono regole “fisse” per stare bene a questo mondo. Esistono semplicemente approcci differenti per affrontare quello che ci offre la vita. E da questo approccio, figlio dei nostri pensieri, nasce il modo in cui viviamo la vita.
Non voglio scrivere un trattato sociologico, non ne posseggo i requisiti, non ne sono capace. Io qui sono solo uno che scrive, per tornare ai tempi della scuola e della maestra che ce lo chiedeva, quattro massimo cinque pensierini su questo quaderno virtuale in piena libertà.
Se l’approccio è negativo, negatività avremo. Se l’approccio è positivo, c’è il “forte rischio” di avere positività dentro di noi ed attorno a noi.
Chiamiamolo “pensiero positivo”, “legge dell’attrazione”, PNL, quello che volete, ma solo provando tutto questo ci si rende conto di quanto sia vero.
Questo non significa ovviamente scappare da eventuali avversità della vita. Quelle prima o poi, per dirla simpaticamente, “ce toccano”. E allora perché sprecare tutti gli altri momenti della vita in rabbia, tristezza, invidia, cattiveria ed odio?
Quando si arriva a controllare la mente e a discernere le emozioni positive, capitalizzandole al massimo, e quelle negative, da cui occorre non farsi schiacciare, allora veramente si potrà dire di aver “corso il grosso rischio” di essere felici. E magari, per chi ci crede come il sottoscritto, con l’aiuto del buon Dio.

domenica 4 marzo 2012

TO A BRIGHTER DAY



Oggi ho riascoltato un brano dance di oltre vent’anni fa, ed inevitabilmente la macchina del tempo del cervello si è rimessa in moto catapultandomi direttamente al 1992, a situazioni di quel periodo, immagini, ricordi, e quant’altro...
Lo so, avevo promesso che non parlavo in questo spazio dei miei fatti personali, e cosi’sarà anche questa volta, solo che sedici anni li hai una volta sola, e quel ritornare ad allora mi ha fatto riflettere su tante cose.
La prima è il senso incredibile di libertà che hai quando sei adolescente. La vita ti sembra infinita, non pensi ad altro se non a quello che ti possa far stare bene, e sogni, sogni ad occhi aperti, convinto di poter stringere il mondo nelle tue mani. Sono belle sensazioni, rievocarle vuol dire calamitare energia positiva dal passato, che sarà si’ morto e sepolto ma dal quale a volte si può trarre perlomeno qualche positivo insegnamento.
La seconda, ma non meno importante, il modo di vivere i sentimenti. Mi rendo conto, piu vicino ormai ai quaranta che ai trenta, che il modo di vivere l’amore a quell’età è per certi versi irripetibile. Mi spiego meglio, non dico che non si possa amare a trenta o quarant’anni, ma la passione e l’assorbimento totale di energie, di risorse che gli adolescenti spendono verso coloro che amano è per certi versi unico, e lo vedo ancor oggi nei ragazzi di quell'età. Per certi versi sono davvero lodevoli perchè la spensieratezza ti porta alla sfrontatezza, al coraggio, se non a volte pure all'incoscenza.
Ecco, forse quello che dovremmo imparare da quell’età dorata che è l’adolescenza (con tutti i problemi che porta con sé, ma non sono qua a scrivere un trattato di sociologia) è la voglia di sognare che abbiamo perso, la voglia di credere in una meta, la voglia di stringere il mondo nelle nostre mani, verso un giorno più luminoso, to a brighter day.

sabato 18 febbraio 2012

CE L'HO MI MANCA, CE L'HO MI MANCA, CE L'HO MI MANCA....




L’attualità propone molti spunti interessanti su cui poter scrivere delle riflessioni. Va da sé che in questo mio spazio cerco sempre di essere il più trasversale possibile, passando appunto dall’attualità alla quotidianità, cercando dei legami fra ognuna delle due.
Non mi dilungherò quindi sulla questione Celentano che stasera, in quella che sarà l’ultima puntata del Festival, si esibirà ancora fornendo il solito campionario di concetti messi qua e là e alla rinfusa (troppi) intermezzati da alcuni pezzi del suo repertorio (troppo pochi). Altri hanno già espresso il loro parere, io mi permetto soltanto di dire che nella vita, ognuno, dovrebbe svolgere la professione che sa fare meglio invece di sconfinare in campi che non sono di sua competenza. In Italia spesso non succede.
Vorrei anche scrivere due righe sulla falsa invalida “catturata” a Pinerolo, una cieca dalla vista di una Lince tanto da permettersi di andare in giro a fare compere ed osservare le vetrine senza nessun tipo né di fastidio né di remora verso la comunità. La stessa assenza di scrupoli che ha avuto la commissione medica che l’ha visitata per assegnarle la pensione. Chapeau.
Mentre scrivo, mi accorgo che il mio articolo si sta impregnando di negatività. E questo non è bene. E allora quale miglior modo di cambiare rotta (di questi tempi , riecheggiando la sciagura della Concordia, sarebbe meglio usare metafore migliori, ma ormai è andata…) proponendo un messaggio di speranza, e soprattutto di continuità, legato invece alla quotidianità, alla vita di tutti i giorni.
Mentre passeggiavo in un noto centro commerciale dell’hinterland milanese per lo shopping del sabato, si era improvvisamente creata un’enorme folla di bambini, tantissimi, come non vedevo da tanto tempo, con loro i rispettivi genitori, tutti uniti davanti ad uno stand con la gloriosa e storica effige della “Panini”. Non credevo ai miei occhi. Figurine ed album dei calciatori per terra dappertutto, mazzette di figurine ovunque, tutti insieme (non ho resistito alla curiosità, ho chiesto il perché di quella simpatica “calca”, in principio credevo regalassero l’album con un po’ di figurine per poi scoprire che non era cosi’, oh beata ingenuità in età senile…) per scambiare col “banco” della “Panini” le figurine doppie con altre evidentemente mancanti.
Che bello. “Ce l’ho, mi manca, ce l’ho mi manca, ce l’ho, mi manca…”. Certo, i tempi di “dammi Nuciari per Faccenda” sono passati per il sottoscritto, ma evidentemente questa simpatica litania funziona ancora.
Che bello, i nostri bambini hanno ancora eredito qualche nostra sana passione, non sono del tutto lobotomizzati come gli adulti davanti ad un pc o a una consolle di videogames. Di questi tempi, non è affatto poco.

domenica 12 febbraio 2012

ONE MOMENT IN TIME


Oggi in molti hanno ricordato Whitney Houston sui social network, in televisione ed un po' su tutti gli organi di stampa. Io non ne conoscevo benissimo la storia artistica, ma non potevo restare indifferente di fronte alla sua voce che fin da quando ero ragazzino accompagnava seppur indirettamente alcuni momenti della mia vita, prima con canzoni anche ritmate e spensierate (vedi "I wanna dance with somebody") poi con canzoni melodiche in cui la potenza della sua voce, unita ad un timbro inconfondibile, la rendeva assolutamente unica, come nel successo mondiale di "The Bodyguard".
Il mio scritto invece, in poche righe, vuole soffermarsi su come ahimè Whitney Houston sia l'ennesima vittima del cosiddetto "male di vivere" che attanaglia la società occidentale, in cui il benessere ed in taluni casi la ricchezza abbondino rendendo, questo è innegabile, piu'agevole nonchè meno affannosa la vita di molte persone.

Evidentemente però tutto questo non sempre basta per sentirsi bene, e gli affanni non sono quelli del portafoglio, nè tantomeno legati ai beni materiali.. La fatica è data dal male di vivere che colpisce queste persone che si sentono sole, malgrado abbiano tutto, e si siano in alcuni casi consegnati alla dipendenza dalla droga per i piu svariati motivi, forse con l'azzardata (a volte) convizione di uscirne,forse con l'idea che la droga possa aiutarti a non pensare a quello che ti manca...

Ma cosa manca? forse l'unica risposta è nelle parole di Madre Teresa. Questa donna meravigliosa disse che in Occidente c'è tanta fame d'amore, e che l'assenza d'amore era la piu grande malattia di questa società del benessere.
Credo che avesse visto giusto anche questa volta, come sempre, nella sua semplicità. Tutto questo evince da ogni discorso legato a tutta la letteratura del rock and roll, alle vittime del successo schiacciate dagli eccessi di una vita al di là della sfera reale, di cui purtroppo Whitney Houston è l'ultima vittima, pochi mesi dopo la povera Amy Winehouse.
C'è da sperare che le parole di Madre Teresa, nella loro semplicità, possano un giorno entrare nel cuore, ed anche nella testa, di tante persone che pur avendo molto, moltissimo dalla vita, si sentono infelici e non si rendono conto, consapevolmente o meno, di quanto siano fortunate.

giovedì 9 febbraio 2012

GODITI IL SILENZIO PARTE II


Tempo fa, forse due anni fa, scrissi dell'importanza del silenzio. Oggi vorrei ritornare su questo tema, spesso trascurato, perchè nella società attuale non c'è spazio per questo compagno imprescindibile se non nelle fisiologiche ore di sonno notturne.
Il silenzio è il pane della preghiera e il sale della meditazione. Nel silenzio è possibile raggiungere quella pace necessaria per ritemprare lo spirito, e rafforzarlo dopo ore di urla, schiamazzi, milioni di parole gridate che volano via nel vento, senza lasciare traccia.
Il silenzio va alternato alle parole, sensate, non buttate all'aria ma ponderate, e alla ricerca di un ascolto maturo, piu'votato alla crescita personale e alla capacità di capire anche le ragioni altrui, i sentimenti altrui.
Spesso ce ne dimentichiamo. Il silenzio in questo è grande maestro nel ricordarcelo quando anzichè parlare sappiamo ascoltare.

sabato 28 gennaio 2012

VIVERE O ESISTERE AL TEMPO DI FACEBOOK



Per capire quali sono i tempi in cui viviamo, basta dare un'occhiata a Facebook.
Non sto parlando male del social network sul quale spesso intervengo pure io, per carità del cielo. E' un passatempo divertente col grave difetto (voluto e cercato dai suoi inventori) di creare dipendenza tanto che per molti è diventato quasi impossibile uscirne.
Mi riferisco invece all'utilizzo che alcuni ne fanno, a mio modesto parere improprio, ma viviamo in piena libertà (cosi' dicono, ma questo è un altro discorso) e ognuno giustamente può usare questo strumento come meglio crede.
Mi accorgo però che molti, moltissimi, amano scrivere costantemente quello che fanno durante il giorno, dalle scelte di vita importanti a momenti di quotdianità al limite dell'imbarazzante, quasi come se fossero attanagliati da un bisogno irrefrenabile di far vedere al mondo, al micromondo virtuale di Facebook, che ci sono pure loro, che sono vivi, o utilizzando una quanto mai azzeccata frase di Oscar Wilde, che esistono su questa terra.
Probabilmente anche io sono cosi', senza accorgermene ho bisogno di far vedere agli altri quanto amo Elvis Presley, oppure la musica che ascolto, visto che principalmente ci entro per inserire video musicali e fare un minimo di pubblicità a questo mio spazio. Forse anche io predico bene e razzolo male.
Di certo però non dirò mai che mi sto lavando i denti o che sto guardando un film western sul divano con uno stuzzicadenti in bocca. Questione di scelte e di opportunità. Molto meglio leggere un libro, magari un passo del Vangelo, e dedicarsi agli altri. Se qualcuno ha la possibilità di farlo è sempre una gran bella cosa.

sabato 21 gennaio 2012

CAPITANI CORAGGIOSI



A volte è difficile distinguere il sottile confine fra la volontà di sdrammatizzare un evento tragico da un lato e l'eccesso di cattivo gusto dall'altro.
Il mio riferimento è alla tragedia della Nave "Costa Crociera" sull'isola del Giglio.
In questi sette giorni trascorsi dal giorno della sciagura, abbiamo sentito di tutto, registrazioni di telefonate intercorse fra l'ormai famigerato Capitano ed il Comandante di Porto, testimonianze dei sopravvissuti, una donna moldava presente e testimone oculare di tutto o quasi quello che avvenne in cabina di comando in quelle concitate ore.
Oltre a ciò, immagini a ripetizione in tutte le salse immortalanti i momenti della tragedia, con le urla della gente, il panico percepibile anche nelle nostre case al caldo, davanti alla tv, con un bel piatto di pasta (o di minestrone, preferibile visto il clima attuale) fumante e con il cervello sempre pronto ad assorbire tutto come una spugna.

Peccato che le spugne,dopo un po', diventano marcie e la mente di molte persone si comporta grazie a Dio allo stesso modo, rifiutando di assorbire quell'acqua sporca che i media ci propinano, un liquido fetido fatto di spettacolarizzazione della tragedia, dibattiti con esperti, contro esperti,indagini, contro indagini, plastichi, supposizioni fantasiose e quant'altro.
Attenzione, non dico che non se ne debba parlare. Il diritto di essere informati è sacro, per carità del cielo. I rotocalchi hanno tutto il diritto di farlo.
Non mi è piaciuto però vedere le immagini di alcuni telegiornali, ascoltare le urla delle persone disperate in preda al panico, ma questo è il mondo in cui viviamo, in cui la vita non ha alcun valore, la morte viene "mistificata" in modo tale da renderla un evento spettacolare, quasi da osannare.

Vorrei solo che ci fosse piu rispetto per i morti, tutto qua. Non sempre ne vedo. Vorrei solo che ci fosse piu rispetto però anche per i vivi, anche per chi ad esempio forse non ha piacere a rivedersi in quei momenti mentre risente le sue urla, mentre la sua vita e quella dei suoi cari a bordo era in pericolo.
Forse chiedo troppo, me ne rendo conto. Devo imparare a stare al passo coi tempi...

Per quanto invece riguarda i vari link su internet che raffigurano il comandante Schettino in varie situazioni, creandone una macchietta, non so come esprimermi. Io credo che l'ironia possa essere utile a sdrammatizzare in certe situazioni, e a rendere meno pesante una tragedia cosi' incredibile nel senso più letterale del termine, "da non poterci credere". Eppure è avvenuta.
Ma non posso altresi' nascondere di aver visto qua e là, sui social network, più d' un eccesso di cattivo gusto, perchè come al solito l'uomo ( ed io non penso di esserne immune ben intesi) a volte non riesce a decifrare il limite da non oltrepassare, e non vede al di là della propria prospettiva, entrando al di là di quelle colonne d'Ercole che come ben si sa, è sempre meglio non varcare perchè non sai mai cosa puoi trovare.

Concludo con un consiglio letterario, di questi tempi direi imprescindibile ed opportuno: torniamo a leggere uno dei capisaldi della nostra infanzia e della nostra adolescenza: "Capitani Coraggiosi" di Rudyard Kipling.
Servirà a farci capire cosa è il mare, cosa significa essere veri capitani, al di là di ogni altro superfluo giudizio su quanto avvenuto all'isola del Giglio. Ci penserà la storia a farlo, e per chi ci crede, come me, Dio.

lunedì 16 gennaio 2012

AMARE LA VITA, INCONTRARSI E GUARDARSI NEGLI OCCHI





Dall’inizio del 2012 una serie di tragedie, omicidi e avversità riempiono le pagine dei giornali e le notizie dei principali telegiornali.
Non spetta a me ovviamente parlare di quanto è avvenuto in questi giorni sulla Costa del Giglio, per non parlare dell’indegno omicidio del povero vigile urbano a Milano, ed ancor prima il barbaro assassinio di madre e figlia cinese a Roma. Già altri lo fanno, non è il mio mestiere.
Quello che mi preme invece sottolineare è l’insegnamento che è possibile trarre da tali tragedie che inevitabilmente ci segnano. Queste vicende, oltre inevitabilmente ad addolorarci, devono darci la forza per amare la vita ogni giorno di più, evitando se possibile di lamentarci per questioni futili, e cercando se possibile di volerci bene, o perlomeno rispettarci laddove “volersi bene” è difficile.
Non sono un santo, non lo sono mai stato, non lo sarò mai. Ma mai come in questo momento sento la necessità di tornare alla semplicità, al guardarsi negli occhi, al sorridere.
Mai mi sono esposto in questo mio spazio in modo cosi’ diretto, ma a volte occorre anche saper tirare fuori quello che uno ha, specie in momenti come quello che stiamo vivendo.
Mi torna in mente una bella canzone di parecchi anni fa (“A casa di Luca” di Silvia Salemi ) in cui si sottolineava come la televisione stesse chiudendo le porte al dialogo fra le persone. Oggi internet, i social network hanno sostiuito la televisione, aprendo invece l’era delle amicizie “virtuali”, del mascheramento virtuale.
Sabato sera ho avuto modo di trascorrere una bellissima serata in compagnia di tanti ragazzi giovani, due sacerdoti con cui ho condiviso spunti, idee, e temi importanti legati al mondo del lavoro. Il tutto in un’atmosfera rilassata, a volte giocherellona, seria ma non seriosa nei momenti in cui era necessario che lo fosse. Confronto aperto con lo gioia di stare insieme, tutti con una storia da raccontare, con un’esperienza da condividere. Fantastico.
Si è tornati a parlare, si è stati insieme, ci si è guardati negli occhi.
Sembra così difficile, eppure, siamo stati creati anche per questo.
Torniamo a guardarci negli occhi