Non
mi hanno mai esaltato troppo i banchetti matrimoniali. Tutte quelle persone,
all’aperto, parenti di parenti e conoscenti, amici più o meno veri, tutti
riuniti per festeggiare in nome di un amore che dovrebbe durare per sempre,
almeno così ci hanno detto da sempre, mentre gli sposi erano in giro a farsi
immortalare dal fotografo di rito. Si sa, un ricordo è per sempre.
Quel
giorno non potevo mancare però. Era troppo importante ed io sapevo dentro me il
perché. E i matrimoni, se celebrati d’estate,
hanno anche i loro lati positivi, specie per quanto concerne la parte meno
solenne e più triviale della faccenda, perché sono una vera e propria
passerella per le amiche della sposa, tutte contente in cuor loro per il suo
grande momento, ma al tempo stesso tronfie e fiere del loro abito nuovo, magari
più corto di qualche centimetro, così da mostrare la prima abbronzatura dorata
della stagione sulle gambe o perché no in un decoltè più o meno pronunciato.
Sono le strategie della seduzione, sono le vere leggi dell’attrazione. Noi uomini ci caschiamo sempre, e le donne lo
sanno.
Mi
avvicinai verso il somelier chiedendogli un bicchiere del mio bianco preferito.
Si sa, le bollicine catturano. La cravatta stretta e quella giacca come un
macigno sulle spalle mi opprimevano come non mai, e non era ancora il momento
di scogliere i nodi dei formalismi e dell’impeccabilità.
Ma
qualcosa, come d’incanto, stava cambiando.
Mi
voltai di lato all’improvviso, fra tante donne di ogni età, amiche dello sposo,
parenti più o meno lontani o amici improvvisati per fare numero, scorsi una
figura che mi sembrava di aver incontrato da qualche parte in un’altra
dimensione, in un altro ricordo, in un altro spazio. No, non era suggestione, e
nemmeno un eccesso di felicità alcolica. Era semplicemente lei, incrociata in
uno sguardo, desiderata in un istante, da sempre solo e soltanto voluta.
Nell’incrociarsi
furtivo dei nostri occhi avvertii la prima forte vibrazione di un lungo
pomeriggio di festa. Quella strana aleatoria sensazione di magia mista
desiderio che calamita l’attrazione di due corpi iniziò a propagarsi, come
un’onda energetica, all’interno di quell’atmosfera di formalismi e ipocrisia
delle feste matrimoniali. Eravamo noi, solo e soltanto noi.
Ci
conoscemmo quasi spontaneamente, senza quegli stupidi tentativi di approccio
che rendono goffi e patetici gli uomini alla ricerca di facili emozioni.
Parlammo subito di tutto, come se ci fossimo incontrati già svariate volte in
passato, in altre situazioni, forse virtualmente, forse di persona, non lo
sapevamo e forse non lo sapremo mai. Ma già dentro di noi, fra gli spazi più
nascosti delle nostre umane viscere, eravamo certi che già ci amavamo.
Con
quella classe ed eleganza che solo la donna è in grado di avere quando sa
quello che vuole, come ottenerlo e quando ottenerlo, ti passasti il bicchiere
alla bocca per bere un sol sorso di quel vino che aveva favorito il nostro
incontro. In un gesto così semplice ma naturale, avvertii la seconda
irresistibile vibrazione al cadere lento del cubetto di ghiaccio dentro al
bicchiere, mentre con furbizia e intelligenza passavi rapida la lingua sulle
quelle labbra cosi invitanti .Quella magia indescrivibile che calamita
l’attrazione di due corpi si era ormai impadronita di tutto il resto, non vedevamo
già più nulla, non sentivamo già più nulla. Ci chiamavano per il pranzo, ma la
questione ormai non ci riguardava più. Viva gli sposi.
Improvvisamente
spostasti il capo, come ad indicarmi quale fosse la giusta direzione per
seguirti. Ci recammo dall’altro lato della masseria, era un comune agriturismo
di quelli che vanno di moda oggigiorno, basta mangiare , bere, e tutti sono
felici e contenti. Non era abbastanza per noi.
Davanti
a noi una vasta distesa di prati verdi sormontati da colline che rigogliose,
quasi imponenti, si imponevano lasciando il centro della scena ad un cielo
azzurro dominato dai raggi del caldo sole di fine luglio. Rumore di forchette,
qualcuno urlava in lontananza frasi sconnesse, qualcun altro i nostri nomi,
qualcuno volgari battute da caserma. Noi non eravamo più là.
Volevo
averti davanti a me, ma avevi già voltato le spalle con l’ingenuo pretesto di
indicarmi il panorama, con la mera scusa di aumentare ancora, come se già non
ne avessimo abbastanza, il tasso di desiderio reciproco che attanagliava
inesorabile i nostri corpi. Non c’era più spazio, non c’era altro tempo, mi
avvicinai a te con quell’innata capacità maschile di prendersi qualcosa ogni
volta che l’uomo lo vuole. Come una saetta fulminante avvertii la sinuosità del
tuo corpo attaccarsi improvvisamente al mio, e nel mio già istintivo,
irrefrenabile ed incontrollato impulso, riuscii subito a trasmetterti il senso vero della mia presenza, il senso
inequivocabile, il senso assoluto.
Le
mie mani si posarono come soffi di vento sulle tue spalle, già delicatamente
abbronzate ed ambrate, e i miei polpastrelli ti accarezzavano col solo ed unico
fine di far andare in corto circuito il meccanismo di controllo delle tue
emozioni, il solo unico obiettivo di far crollare il precario e ormai
fatiscente castello fatato dalle delle tue inibizioni. Ci riuscii in un battito
di ciglia.
Qualcuno
ci poteva vedere. Lo sapevamo. Ma cosa c’è di meglio di quel sottile e perverso
gusto dello scandalo, dell’ineffabile ed irresistibile sapore del proibito, fra
menti sospettose e sguardi incuriositi… I miei baci intanto divoravano
lentamente il tuo collo inerme, ed un soffio di vento fece delicatamente
voltare la tua folta chioma nera e con essa anche i tuoi seni autoritari, i i
tuoi occhi devastanti, ormai pronti verso di me.
Le
tue labbra si attaccarono alle mie e in quel momento sentii che io dovevo
essere là, perché lo sentivo, perché lo volevo, perché ti volevo.
Nell’incrociarsi frenetico di quel momento cosi intimo all’interno delle nostre
anime, nel mescolarsi impazzito dei nostri respiri, fremevo soltanto all’idea
di sentirti mia, tutta mia, io dentro di te, mentre il vento aumentò
improvvisamente la sua forza, ed i nostri corpi si lasciarono cadere sull’erba
appena bagnata dal giardiniere di turno.
Non c’era più limite, non c’era più
morale, non c’era più niente e nessuno se non io e te, ed il vento a spingerci
ancora una volta verso il completamento del nostro sogno, verso l’apoteosi del
nostro desiderio.