Chi segue il calcio al di là della propria appartenenza
calcistica si sarà accorto di come non solo il gioco si sia evoluto,
velocizzato, ma anche e soprattutto di come sia cambiato il modo di
interpretare alcuni ruoli chiave strettamente legati ad esso.
Entrando nel dettaglio, faccio riferimento a quello dei
difensori centrali, quelli che una volta venivano chiamati stopper e, nel caso
specifico di queste mie poche righe, il libero.
La professione calcistica del libero veniva svolta in modo
impeccabile dal capitano dei capitani, il nostro unico, indimenticabile e mai
troppo amato Franco Baresi
Franco Baresi era l’esaltazione del ruolo di libero alla sua
massima potenza. Lo paragonavano a Beckenbauer, non a caso lo chiamavano Franz,
ebbene io ho solo visto dei filmati di Kaiser Franz, il grande libero della
Germania degli anni settanta, mentre di
Baresi ho visto tante partite dal vivo e i miei ricordi sono più vividi,
presenti, palpabili.
Senza arrivare ad imbarazzanti accostamenti fra il Milan
attuale e quello di un tempo, si può notare, anche osservando tutte le altre
squadre, che i difensori centrali di oggi non sono in grado di intrerpretare il
ruolo come lo faceva lui.
Se ci si fa caso, il difensore centrale di oggi esegue il
suo compitino, difende a zona, randella
quando è necessario, ma sono tutti più o meno cloni dello stesso stampino
prodotti della catena di montaggio del calcio moderno. Rocciosi, alti,
muscolosi, imperiosi nel gioco aereo. Tutto assai lineare. Teoricamente tutto
quello che serve per svolgere bene il compitino del centrale difensivo.
E poi?
E poi manca quello che aveva lui. Senza voler aprire
l’ennesimo capitolo del libro della nostalgia, diventa altresi inevitabile
ricordare quello che aveva lui e che oggi forse non sanno nemmeno cosa sia.
Franco Baresi era un normotipo. Non troppo alto, non troppo
potente. Eppure era il migliore, il più grande di tutti nel suo ruolo.
Non so voi, ma a me mancano gli sganciamenti del capitano,
quelli che Carlo Pellegatti chiamava “coast to coast” del capitano. Non li fa più nessuno. Quelle sue sortite repentine, era imperioso
nella sua bellezza calcistica quando usciva palla al piede e tagliava come una
lama nel burro le difese avversarie passando per la mediana. Ricordo in questo
senso una sua immagine dei mondiali di Italia 90’, mi pare fosse la gara contro
la ex Cecoslovacchia quando dopo aver effettuato un recupero dei suoi si rimpossessa del pallone, lo passa a Giannini e se lo
riprende quasi sradicandoglielo per poi partire in proiezione offensiva come
una saetta con la palla incollata al piede. Per fare tutto questo devi avere
una personalità fuori dal comune. Per fare questo devi essere Franco Baresi,
uno che Liedholm fece esordire a diciassette anni vedendo prima degli altri chi
era. Uno che sopportò due retrocessioni in B, seppe resistere alle lusinghe
della Sampdoria di Mantovani (all’epoca una grande squadra ) per poi salire sul
tetto del mondo con le sue forze, il suo coraggio, la sua passione, il suo
talento. Uno che pianse per quel rigore tirato alle stelle dopo una partita
epica, forse la migliore della sua carriera, nella maledetta finale di USA 94’
persa come spesso ci succdeva a causa di quegli altrettanto maledetti rigori.
In quell’immagine, in quell’episodio (recupero difensivo,
ripartenza ed uscita palla al piede) c’è
tutto Baresi. Classe, determinazione, intuizione, velocità, senso del
gioco. Sfido chiunque a trovarmi uno che
nel suo ruolo oggi sia in grado di fare tutto questo. Posso aspettare per ore
ed ore, giorni, mesi, anni.
Intanto, mentre attendo, dedico a te mio capitano queste righe di elogio e di
profonda ammirazione e stima.
Con affetto, un tuo tifoso ed inguaribile estimatore