Mi consola vedere che la sindrome da amarcord non
attanaglia solo me. Ci sono pagine su Facebook, sono stati scritti addirittura
dei libri, fatto sta che tutti quelli che hanno dai trentacinque anni in su
ricordano con nostalgia gli anni ottanta e ormai, visto il trascorrere
inesorabile del tempo, anche gli anni novanta, che mai avrei pensato di
rimpiangere visto che al momento in cui gli ho vissuti non mi piacevano nemmeno
un po’ perchè legato al decennio precedente. Eppure...Eppure oggi li ricordo
con affetto ed un pizzico di rimpianto.
Vero, ripensi alla tua adolescenza e vorresti tornare indietro, ma non è
quello. Sono le emozioni vissute in maniera più semplice ed “analogica” a fare
la differenza.
Qualcuno si chiederà cosa c’entrino l’analogico ed il digitale
in uno scritto che riecheggia il passato e i suoi momenti. C’entra eccome. Se
pensiamo che negli anni novanta non esisteva internet, che ancora ascoltavamo i
dischi con il vinile essendo il cd all’inzio della sua diffusione (io lo faccio
ancora) e soprattutto eravamo consapevoli, chi più chi meno, di cosa volesse
dire sentire un contatto, stabilire un contatto come cantavano gli Stadio in
quegli anni, come quello della puntina che solcava il disco, quello delle
persone che incontravamo ed abbracciavamo magari dopo esserci dati appuntamento
al telefono da casa, senza messaggi, senza foto, solo con la sfera dell’immaginazione
che varcava le porte del desiderio e dell’ignoto.
Guardare ossessivamente indietro è sbagliato. Indietro
non c’è più nulla. Ma il ricordo resta e
non puoi farlo scappare via. Sono sempre dell’idea che il calore di un
abbraccio, il solco di una puntina, il desiderio di stare insieme, per farla
breve il vivere in “analogico” siano assai migliori dell’appiattimento di un messaggio preconfezionato, di un brano
musicale ovattato senza fruscii, di un isolamento multimediale che ci sta
riducendo gradatamente a degli esseri solitari senza cuore nè anima.