io e il mare

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venerdì 29 maggio 2015

L' HEYSEL TRENT'ANNI DOPO. NON ABBIAMO IMPARATO NIENTE



Il mio ricordo della tragedia dell’Heysel è un misto fra sgomento e stupore. Sì, stupore, perchè a nove anni hai un’idea della morte assai lontana e vaga, malgrado la vita facendomi perdere il padre solo due anni prima me ne avesse fornito un’immagine subito nitida ed ahimè fortemente reale.

Le immagini con la voce spezzata dalla tristezza di Bruno Pizzul non possono essere descritte a parole. Ci misi degli anni a rendermi conto appieno di quello che accadde.  Poi, tutto il resto, la partita che si disputò solo perchè non si poteva, in quel momento, fare altrimenti, onde evitare una strage peggiore. Non vorrei mai essere al posto della persona che dovette prendere quella decisione in quel momento.
Sorvolo su altri aspetti, sull'esultanza di Platini e di qualche suo compagno di squadra dopo il gol su rigore realizzato dallo stesso Platini. Posso solo auspicare, forse ingenuamente, che non sapessero nulla. Mi fa star meglio crederlo, mi piace crogiuolarmi in questa incredibile illusione.  Fu tutto surreale, una farsa nella tragedia. La verità la sanno solo loro. Quello che tutti sappiamo è
che quella sera ci furono trentanove povere vittime.

Oggi, a distanza di trent'anni, non abbiamo imparato nulla da allora. Ci sono state altre stragi, forse meno eclatanti numericamente, forse meno devastanti psicologicamente, ma la violenza continua ad esserci e non necessariamente è fisica, non necessariamente fa morire le persone nel corpo. Le fa morire invece nell'anima, nel dolore peggiore che è quello provocato dalle parole, dagli striscioni ignobili contro quelle vittime che da anni imperversano negli stadi di tutta Italia. Abbiamo visto e sentito di tutto nel corso di questi anni. Non cambierà mai nulla. L’animo umano trova compiacimento nel male in quanto strada più semplice da percorrere. Per fortuna non siamo tutti cosi, per fortuna ancora oggi molti di noi possono rivolgere uno sguardo al cielo e ricordare quelle trentanove povere anime salite al cielo con il solo sogno dentro, quello di poter veder vincere la propria squadra del cuore.

sabato 23 maggio 2015

L'ATTESA IN UNA SPERANZA






La notte fa capolino. Le giornate si stanno allungando sempre più, fra un mese si raggiungerà il culmine di quella stagione che ho sempre amato più di tutte, quella primavera che sfocerà nell’estate, speriamo non troppo calda e comunque soleggiata e luminosa. E’ un desiderio ed un augurio anche metaforico, non posso e non voglio più nascondere i miei stati d’animo. Qui mi esprimo in piena libertà da sempre, qui scrivo da sempre quello che voglio. Non posso che offrire questo.

Da alcuni giorni, e non solo per la contingenza della situazione familiare che mi vede direttamente coinvolto, rifletto sulla fede, sulla sofferenza, sul rapporto intrinseco fra malattia, uomo e Dio. Leggo, rileggo e ripenso. E risposte valide, a livello razionale, non possono esserci. Pertanto, l’unica risposta che va al di là di un “uno più uno che fa due” non può che essere l’abbandono alla fede, ad un disegno, quello di Dio, di difficile se non impossibile comprensione per noi umani che come Gesù stesso ricorda nel vangelo pensiamo da umani e non secondo la linea di pensiero di Dio.

La vita purtroppo, come diceva qualcuno, non è sempre rose e fiori. No, me ne sono accorto presto, fin da piccolo ho capito come funzionava questo spartito. Quando lo suoni, ci sono dei momenti in cui la sinfonia è meravigliosa, soave, gioiosa. In altri momenti è cupa, pesante, triste. E’ la canzone della vita, e ci piaccia o no è così. Ed occorre accettarlo. Anche perché alternative, purtroppo, non ve ne sono.


Sarebbe bello se la vita fosse un percorso lungo che so più di cent’anni senza malattie e sofferenze, coi genitori che campano altrettanto, successi professionali, benessere economico, amori da Giulietta e Romeo e chi più ne ha più ne ha metta. Tutto questo è bellissimo. Tutto questo è favoloso. Sicuramente surreale. Tutto questo non è la vita.

Io non so cosa ci sia di là. Da credente ho fede e speranza per qualcosa che ci attenda oltre quello che c’è qua. Intanto, malgrado tutto lotto, cado, mi rialzo, sbaglio e mi correggo. Sempre sperando in tempi migliori in cui il sorriso torni a splendere come il sole assente in queste lunghe ed affannose giornate di fine maggio.

domenica 17 maggio 2015

LA SCOPERTA DI UN PORTENTO, LA CERTEZZA DI UN TALENTO: GRAZIE NICOLA



Ci sono delle cose che scopri dopo pur sapendo che avresti dovuto e potuto farlo prima. La pigrizia,
l’indolenza, l’impossibilità o spesso l’incapacità di volersi evolvere fa sì che certe meraviglie incrocino la tua vita con colpevole ritardo. O forse, più semplicemente, ogni cosa ha il suo tempo.

Da anni mi parlavano di Nicola Congiu, in molte circostanze amici e conoscenti mi chiedevano di sentirlo cantare dal vivo definendomelo come qualcosa di indescrivibile ed unico. Eppure tutto questo, fino a venerdi scorso, non è avvenuto.  Avevo bisogno di quella che per me, appassionato irriducibile di Elvis, fosse la prova del nove (come se non bastassero le sue eccezionali performance di altri artisti), ovvero sentirlo cantare di persona le canzoni di Elvis nella serata dedicata ad un nostro caro amico che non è più qui con noi. C’era forse bisogno di uno stupore condiviso, perchè le mie stesse sensazioni sono quelle provate da oltre seicento persone presenti in teatro. Non bastano poche parole per descrivere gli sguardi, lo stupore, l’ammirazione e la gioia di chi lo ha visto ed ascoltato. Un’emozione nell’emozione di una serata già di per sè toccante e dal sapore dolce-amaro.

Nicola è un bolide canoro da mille e una notte. Canta, ma non canta soltanto, è un’emozione, una
vibrazione dell’anima materializzata in un’onda sonora che con maestria varia dal basso verso l’alto per poi scendere e risalire nuovamente.  Nicola è un tuono vocale che non spaventa ma desta chi lo ascolta facendolo sognare nel  momento in cui lo osserva notando il suo sguardo spesso rivolto verso l’alto, come a ringraziare chi questo dono glielo ha dato e lui lo sfrutta  nell’unico modo possibile, regalando gioia , sogni e brividi a chi lo ascolta.

La semplicità di Nicola nel porsi davanti alle persone, l’umiltà con cui si pone nel quotidiano è lo specchio fedele di quando di esibisce sul palco.  Un look elegante ma semplice, tanti sorrisi, tanta voglia di stare con le persone ed un unico vero amore, diretto, senza fronzoli, senza contorsioni , senza veli o maschere: la musica. E poi la magia della sua voce. Nicola può cantare tutto. E’ impressionante, credevo fosse un cantante melodico ascoltandolo su you tube . Nicola è un portento musicale. Sentirlo solo coi supporti sonori è come mangiare un piatto succulento riscaldato. Buono, per carità, ma non  paragonabile a quando lo  puoi gustare appena preparato al momento. E’ come il pane appena sfornato. La fragranza e l’aroma devi sentirli subito, altrimenti volano via.  E Nicola va ascoltato al momento, “live”, perchè è un’emozione di vita che non si può perdere e si può godere appieno solo nell’istante in cui lo vivi e lo senti dentro di te.

Nicola è un bolide canoro da mille e una notte. Una ferrari vocale che meriterebbe di correre in circuiti più prestigiosi. Ma tant’è. Intanto, io, ti chiedo scusa per essermi accorto di te così tardi e ti ringrazio ancora per le emozioni che ci hai regalato venerdi.  Sei bravo, tanto bravo.