io e il mare

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venerdì 16 gennaio 2015

CAPITANO MIO CAPITANO



Chi segue il calcio al di là della propria appartenenza calcistica si sarà accorto di come non solo il gioco si sia evoluto, velocizzato, ma anche e soprattutto di come sia cambiato il modo di interpretare alcuni ruoli chiave strettamente legati ad esso.
Entrando nel dettaglio, faccio riferimento a quello dei difensori centrali, quelli che una volta venivano chiamati stopper e, nel caso specifico di queste mie poche righe, il libero.
La professione calcistica del libero veniva svolta in modo impeccabile dal capitano dei capitani, il nostro unico, indimenticabile e mai troppo amato Franco Baresi
Franco Baresi era l’esaltazione del ruolo di libero alla sua massima potenza. Lo paragonavano a Beckenbauer, non a caso lo chiamavano Franz, ebbene io ho solo visto dei filmati di Kaiser Franz, il grande libero della Germania degli anni settanta,  mentre di Baresi ho visto tante partite dal vivo e i miei ricordi sono più vividi, presenti, palpabili.
Senza arrivare ad imbarazzanti accostamenti fra il Milan attuale e quello di un tempo, si può notare, anche osservando tutte le altre squadre, che i difensori centrali di oggi non sono in grado di intrerpretare il ruolo come lo faceva lui.
Se ci si fa caso, il difensore centrale di oggi esegue il suo compitino,  difende a zona, randella quando è necessario, ma sono tutti più o meno cloni dello stesso stampino prodotti della catena di montaggio del calcio moderno. Rocciosi, alti, muscolosi, imperiosi nel gioco aereo. Tutto assai lineare. Teoricamente tutto quello che serve per svolgere bene il compitino del centrale difensivo.
E poi?
E poi manca quello che aveva lui. Senza voler aprire l’ennesimo capitolo del libro della nostalgia, diventa altresi inevitabile ricordare quello che aveva lui e che oggi forse non sanno nemmeno cosa sia.
Franco Baresi era un normotipo. Non troppo alto, non troppo potente. Eppure era il migliore, il più grande di tutti nel suo ruolo.
Non so voi, ma a me mancano gli sganciamenti del capitano, quelli che Carlo Pellegatti chiamava “coast to coast” del capitano.  Non li fa più nessuno.  Quelle sue sortite repentine, era imperioso nella sua bellezza calcistica quando usciva palla al piede e tagliava come una lama nel burro le difese avversarie passando per la mediana. Ricordo in questo senso una sua immagine dei mondiali di Italia 90’, mi pare fosse la gara contro la ex Cecoslovacchia quando dopo aver effettuato un recupero dei suoi  si rimpossessa  del pallone, lo passa a Giannini e se lo riprende quasi sradicandoglielo per poi partire in proiezione offensiva come una saetta con la palla incollata al piede. Per fare tutto questo devi avere una personalità fuori dal comune. Per fare questo devi essere Franco Baresi, uno che Liedholm fece esordire a diciassette anni vedendo prima degli altri chi era. Uno che sopportò due retrocessioni in B, seppe resistere alle lusinghe della Sampdoria di Mantovani (all’epoca una grande squadra ) per poi salire sul tetto del mondo con le sue forze, il suo coraggio, la sua passione, il suo talento. Uno che pianse per quel rigore tirato alle stelle dopo una partita epica, forse la migliore della sua carriera, nella maledetta finale di USA 94’ persa come spesso ci succdeva a causa di quegli altrettanto maledetti rigori.
In quell’immagine, in quell’episodio (recupero difensivo, ripartenza ed uscita  palla al piede) c’è tutto Baresi. Classe, determinazione, intuizione, velocità, senso del gioco.  Sfido chiunque a trovarmi uno che nel suo ruolo oggi sia in grado di fare tutto questo. Posso aspettare per ore ed ore, giorni, mesi, anni.
Intanto, mentre attendo, dedico  a te mio capitano queste righe di elogio e di profonda ammirazione e stima.
Con affetto, un tuo tifoso ed inguaribile estimatore

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