io e il mare

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mercoledì 4 aprile 2012

SERVIZI VINCENTI: Parte I


In attesa dell'articolo pasquale, oggi inserisco la prima parte (e stasera la seconda) di un racconto che scrissi alcuni anni fa.

Spero possa piacervi. E' leggero, non sono Proust, ne sono consapevole... :-)


Servizi Vincenti

C’è sempre un effetto particolare, direi quasi eccitante, nel vedere quella goccia di sudore cadere dalla fronte di un tennista al suo turno di battuta. E’ il simbolo della sofferenza, della fatica, di quel momento in cui ti ritrovi di fronte il tuo avversario e senti questo zampillo d’acqua acida che ti scende dalla fronte e cade dispettosa sul naso mentre la tua testa, ogni singolo centimentro di ogni singolo neurone, spartisce l’ordine di sparo al braccio.
Era il suo momento. Finalmente.
Aveva lottato molto per raggiungere la finale. Aveva superato avversari ostici, che in precedenti tornei gli avevano fatto mangiare la terra (rossa) mentre ora si dovevano inchinare alla sua classe, al suo talento, alla sua voglia di vincere.
Dopo dieci anni di una carriera quasi anonima, passata a giocare tornei minori solo perché a casa c’era una famiglia da mantenere, o più realisticamente perché se la faceva addosso a prendere un volo intercontinentale a settimana, Geronimo Bardazzi era riuscito nell’exploit di raggiungere la finale degli Internazionali d’Italia. Dopo oltre trent’anni, nel ricordo dell’ottavo Re di Roma Adriano Panatta , ora tutto il Foro Italico era ai suoi piedi, tutta l’ Italia lo guardava in tv con trepidazione. Tutte quelle paure, quelle ansie, erano solo un vecchio superato ricordo. Almeno così pareva.
Dall’altra parte del campo, lo svedese Thomas Andersson. Ma questo non importa a nessuno, al di là della rete c’è l’avversario, chiunque egli fosse, metafora incarnata della vita, che ora si proponeva davanti ai suoi occhi come una dama maliziosa che ammicca suadente, pronta però a colpirlo senza pietà e a farlo correre come un tergicristallo da una parte al’altra del campo. Se la stava facendo sotto un’altra volta, sotto sotto, come un bambino dell’asilo la prima volta fuori dal vasino di casa sua, ancor prima di cominciare a correre.
Scesero dagli spogliatoi ed un ammasso confusionario e disordinato di fotografi, come tradizione e logica vuole in Italia, li attendeva accovacciati ed ammassati ai lati del serpentone che collegava gli spogliatoi all’ingresso del campo centrale. Un applauso fragoroso, seguito da un’ovazione all’annuncio del suo nome da parte del giudice arbitro, ruppe il ghiaccio fra l’attesa interminabile e l’inizio del match.
Guardò fisso verso le tribune, salutò svogliato sua moglie seduta una fila dietro il sindaco ed altre celebrità. Katia era lì, a sostenerlo, ancora una volta, malgrado le sue notti brave a Milano Marittima fra fiumi di Moet Chandon e bollicine, infinite linee di polvere bianca sniffata sulle cosce bollenti di navigate professioniste del meretricio d’alto bordo. Narrano le cronache della Milano bene di un’intera nottata trascorsa fra discoteche e piste ( quelle da ballo erano già parte delle discoteche stesse) talmente sfrenata che al suo ritorno a casa sua moglie lo avrebbe preso a zoccolate sui denti facendolo scendere in boxer giu dalle scale, come il peggiore degli amati colti, mai termine fu piu azzeccato, in fallo... (to be continued...)

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