io e il mare

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martedì 4 marzo 2014

L' APOTEOSI







Non mi hanno mai esaltato troppo i banchetti matrimoniali. Tutte quelle persone, all’aperto, parenti di parenti e conoscenti, amici più o meno veri, tutti riuniti per festeggiare in nome di un amore che dovrebbe durare per sempre, almeno così ci hanno detto da sempre, mentre gli sposi erano in giro a farsi immortalare dal fotografo di rito. Si sa, un ricordo è per sempre.

Quel giorno non potevo mancare però. Era troppo importante ed io sapevo dentro me il perché.  E i matrimoni, se celebrati d’estate, hanno anche i loro lati positivi, specie per quanto concerne la parte meno solenne e più triviale della faccenda, perché sono una vera e propria passerella per le amiche della sposa, tutte contente in cuor loro per il suo grande momento, ma al tempo stesso tronfie e fiere del loro abito nuovo, magari più corto di qualche centimetro, così da mostrare la prima abbronzatura dorata della stagione sulle gambe o perché no in un decoltè più o meno pronunciato. Sono le strategie della seduzione, sono le vere leggi dell’attrazione.  Noi uomini ci caschiamo sempre, e le donne lo sanno.

Mi avvicinai verso il somelier chiedendogli un bicchiere del mio bianco preferito. Si sa, le bollicine catturano. La cravatta stretta e quella giacca come un macigno sulle spalle mi opprimevano come non mai, e non era ancora il momento di scogliere i nodi dei formalismi e dell’impeccabilità.

Ma qualcosa, come d’incanto, stava cambiando.

Mi voltai di lato all’improvviso, fra tante donne di ogni età, amiche dello sposo, parenti più o meno lontani o amici improvvisati per fare numero, scorsi una figura che mi sembrava di aver incontrato da qualche parte in un’altra dimensione, in un altro ricordo, in un altro spazio. No, non era suggestione, e nemmeno un eccesso di felicità alcolica. Era semplicemente lei, incrociata in uno sguardo, desiderata in un istante, da sempre solo e soltanto voluta.

Nell’incrociarsi furtivo dei nostri occhi avvertii la prima forte vibrazione di un lungo pomeriggio di festa. Quella strana aleatoria sensazione di magia mista desiderio che calamita l’attrazione di due corpi iniziò a propagarsi, come un’onda energetica, all’interno di quell’atmosfera di formalismi e ipocrisia delle feste matrimoniali. Eravamo noi, solo e soltanto noi.

Ci conoscemmo quasi spontaneamente, senza quegli stupidi tentativi di approccio che rendono goffi e patetici gli uomini alla ricerca di facili emozioni. Parlammo subito di tutto, come se ci fossimo incontrati già svariate volte in passato, in altre situazioni, forse virtualmente, forse di persona, non lo sapevamo e forse non lo sapremo mai. Ma già dentro di noi, fra gli spazi più nascosti delle nostre umane viscere, eravamo certi che già ci amavamo.

Con quella classe ed eleganza che solo la donna è in grado di avere quando sa quello che vuole, come ottenerlo e quando ottenerlo, ti passasti il bicchiere alla bocca per bere un sol sorso di quel vino che aveva favorito il nostro incontro. In un gesto così semplice ma naturale, avvertii la seconda irresistibile vibrazione al cadere lento del cubetto di ghiaccio dentro al bicchiere, mentre con furbizia e intelligenza passavi rapida la lingua sulle quelle labbra cosi invitanti .Quella magia indescrivibile che calamita l’attrazione di due corpi si era ormai impadronita di tutto il resto, non vedevamo già più nulla, non sentivamo già più nulla. Ci chiamavano per il pranzo, ma la questione ormai non ci riguardava più. Viva gli sposi.
Improvvisamente spostasti il capo, come ad indicarmi quale fosse la giusta direzione per seguirti. Ci recammo dall’altro lato della masseria, era un comune agriturismo di quelli che vanno di moda oggigiorno, basta mangiare , bere, e tutti sono felici e contenti. Non era abbastanza per noi.

Davanti a noi una vasta distesa di prati verdi sormontati da colline che rigogliose, quasi imponenti, si imponevano lasciando il centro della scena ad un cielo azzurro dominato dai raggi del caldo sole di fine luglio. Rumore di forchette, qualcuno urlava in lontananza frasi sconnesse, qualcun altro i nostri nomi, qualcuno volgari battute da caserma. Noi non eravamo più là.

Volevo averti davanti a me, ma avevi già voltato le spalle con l’ingenuo pretesto di indicarmi il panorama, con la mera scusa di aumentare ancora, come se già non ne avessimo abbastanza, il tasso di desiderio reciproco che attanagliava inesorabile i nostri corpi. Non c’era più spazio, non c’era altro tempo, mi avvicinai a te con quell’innata capacità maschile di prendersi qualcosa ogni volta che l’uomo lo vuole. Come una saetta fulminante avvertii la sinuosità del tuo corpo attaccarsi improvvisamente al mio, e nel mio già istintivo, irrefrenabile ed incontrollato impulso, riuscii subito a trasmetterti  il senso vero della mia presenza, il senso inequivocabile, il senso assoluto.
Le mie mani si posarono come soffi di vento sulle tue spalle, già delicatamente abbronzate ed ambrate, e i miei polpastrelli ti accarezzavano col solo ed unico fine di far andare in corto circuito il meccanismo di controllo delle tue emozioni, il solo unico obiettivo di far crollare il precario e ormai fatiscente castello fatato dalle delle tue inibizioni. Ci riuscii in un battito di ciglia.

Qualcuno ci poteva vedere. Lo sapevamo. Ma cosa c’è di meglio di quel sottile e perverso gusto dello scandalo, dell’ineffabile ed irresistibile sapore del proibito, fra menti sospettose e sguardi incuriositi… I miei baci intanto divoravano lentamente il tuo collo inerme, ed un soffio di vento fece delicatamente voltare la tua folta chioma nera e con essa anche i tuoi seni autoritari, i i tuoi occhi devastanti, ormai pronti verso di me.

Le tue labbra si attaccarono alle mie e in quel momento sentii che io dovevo essere là, perché lo sentivo, perché lo volevo, perché ti volevo. Nell’incrociarsi frenetico di quel momento cosi intimo all’interno delle nostre anime, nel mescolarsi impazzito dei nostri respiri, fremevo soltanto all’idea di sentirti mia, tutta mia, io dentro di te, mentre il vento aumentò improvvisamente la sua forza, ed i nostri corpi si lasciarono cadere sull’erba appena bagnata dal giardiniere di turno. 

Non c’era più limite, non c’era più morale, non c’era più niente e nessuno se non io e te, ed il vento a spingerci ancora una volta verso il completamento del nostro sogno, verso l’apoteosi del nostro desiderio.

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