La passione non si compra. La passione non si vende. La
passione ce l’hai dentro, insita, come parte integrante di quella cosa che non
vedi ma che senti forte dentro di te chiamata anima. La passione ti fa battere
il cuore. La passione è tutto.
Correva l’anno 1982 e come quasi tutti i bambini la nostra
mente di fanciullo si apre al sogno di tirare calci ad una palla, in un
campetto, all’oratorio, a scuola in corridoio, un po’ dove capita insomma. Agli eroi inventati dei fumetti e dei cartoni
animati si aggiunsero quelli in carne ed ossa che rincorrono un pallone dentro
un campo da calcio. Fu così che il mio cuoricino di bambino timido ed impaurito
si aprì alla magia dei colori rossoneri, in una giornata novembrina dell’autunno
post trionfo mundial di Spagna. Si entrava ancora allo stadio con gli ombrelli,
nei famosi “distinti”. C’era ancora il mio
povero papà con me, ad accompagnarmi, lui che seppi solo dopo essere interista,
quando era con me non voleva manifestarlo troppo, forse per non deludermi, forse
per non condizionarmi, chissà…
Misi in moto il motore della passione in breve tempo. La
vita è tutta una risalita per poi scendere e risalire di nuovo fino a quando il
motore, su autorizzazione del tecnico supremo, si spegne definitivamente. E
quel motore si accese con un Milan piccolo piccolo, in serie B, che sognava di
tornare presto grande dopo anni di difficoltà e di tanti bocconi amari
ingeriti. Era il periodo della grande rivalità Juventus-Roma, della “questione
di centimetri” di Turone e della magia del Barone (Liedholm). Oggi, a distanza
di anni, il Barone ci guarda dal cielo, i “centimetri di Turone” un facile
pretesto per polemiche calcistiche fra coloro che ancor oggi dominano la scena
calcistica, Juventus e Roma.
In tutto questo tempo, come ad un percorso narrativo ad
anello, ho vissuto una molteplicità di emozioni indescrivibili e non comprensibili
per chi non segue ed ama il calcio. Dai tackle e le uscite palla al piede di
Baresi, il mio capitano, alla poesia calcistica inimitabile che usciva dai
piedi di Van Basten, passando per la forza e la classe di Maldini, l’altro mio capitano, alla velocità
di Shevchenko e alla generosità di Weah. Di tutto di più. Trionfi di ogni
genere, coppe alzate a ripetizione, sfottò di ogni tipo ai cugini e agli
juventini, storie d’amore durate cinquantotto partite consecutive (il record d’imbattibilità),
amori intensi di una sola notte ma indimenticabili (Barcellona 1989, quella più
intensa e più bella, Vienna, Atene, Manchester, e di nuovo Atene). Senza
dimenticare le sconfitte, le finali perse, quel pianto a dirotto di un bambino tredicenne
che temeva di non farcela a superare l’esamino di terza media dopo aver
assistito alla Fatal Verona. Ci sono anche le delusioni, il calcio è lo
specchio della vita, lo capii ben presto.
Nel corso degli anni non posso nascondere che parte di tutto
questo è andato un pochino scemando. Al di là di facili discorsi sul calcio che
è cambiato, sui troppi soldi che girano, la vita mi ha portato a delle priorità
e ho dovuto rinunciare a recarmi allo stadio con frequenza. Ma non ho rinunciato
alla mia passione, vissuta con maggior equilibrio, (mi ritengo comunque
abbastanza obiettivo per quello che posso), accrescendo una passione forse più
da salotto, con birra, messaggini agli amici e manifestazioni gastriche fantozziane,
ma la passione è rimasta, quella non può scemare mai, quando c’è, quando è
viva, quando è dentro al cuore che batte e si emoziona alla visione di questi
colori. D’altro canto, se Stendhal
decise di scrivere “Le Rouge et Le Noir” un motivo ci sarà pur stato….
Bisogna riecheggiare la ritualità. Oggi, per una volta,
tornerò ai primi anni novanta, quando in assoluta eccitazione adolescenziale,
indossavo il mio “bomber” blu, la mia sciarpa rossonera per coprirmi dal
freddo, controllavo cento volte (come faccio ora per altre cose) se avevo l’abbonamento
(tessera di terzo anello rosso) , con diecimila lire in tasca prendevo l’autobus,
la metropolitana e l’incontro coi tifosi, chiacchiere da caserma trasversali
fra calcio e donne, tutti schiacciati come sardine dentro il pulmino che da
Piazzale Lotto ti porta allo stadio. Si potrebbe scrivere un libro su quel
tragitto, sulla passione che pervade da anni chi quel tragitto lo conosce a
memoria.
Questa sera, dopo tanti anni tornerò. Bisogna sempre tornare
prima o poi. E sarà un’emozione forte, perché la vita è un’emozione forte, e la
condividerò con due cari amici che mi hanno spinto a riviverla e cui dedico
questo articolo, così come lo dedico a tutti i tifosi del Milan ma anche ai
tifosi di calcio in generale. Certo, non posso nasconderlo, oggi più che mai,
sarò meno “politically correct” e più tifoso. Sempre nel rispetto dell’avversario.
Il mio è un cuore diviso a metà. Da una parte il rosso, dall’altra il nero.
Stendhal lo sapeva già.
D’altronde, come diceva qualcuno, si possono cambiare fidanzate e fidanzati,
mogli, mariti, automobili e beni di ogni genere ma non si può cambiare la
squadra del cuore. La mia resterà per sempre una fino alla fine.
Evviva il Milan, evviva la vita.
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