io e il mare

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sabato 1 marzo 2014

UNA PASSIONE, UN CUORE, DUE COLORI, UN'EMOZIONE CHE RITORNA


 
 
 
La passione non si compra. La passione non si vende. La passione ce l’hai dentro, insita, come parte integrante di quella cosa che non vedi ma che senti forte dentro di te chiamata anima. La passione ti fa battere il cuore. La passione è tutto.

Correva l’anno 1982 e come quasi tutti i bambini la nostra mente di fanciullo si apre al sogno di tirare calci ad una palla, in un campetto, all’oratorio, a scuola in corridoio, un po’ dove capita insomma.  Agli eroi inventati dei fumetti e dei cartoni animati si aggiunsero quelli in carne ed ossa che rincorrono un pallone dentro un campo da calcio. Fu così che il mio cuoricino di bambino timido ed impaurito si aprì alla magia dei colori rossoneri, in una giornata novembrina dell’autunno post trionfo mundial di Spagna. Si entrava ancora allo stadio con gli ombrelli, nei famosi “distinti”.  C’era ancora il mio povero papà con me, ad accompagnarmi, lui che seppi solo dopo essere interista, quando era con me non voleva manifestarlo troppo, forse per non deludermi, forse per non condizionarmi, chissà…

Misi in moto il motore della passione in breve tempo. La vita è tutta una risalita per poi scendere e risalire di nuovo fino a quando il motore, su autorizzazione del tecnico supremo, si spegne definitivamente. E quel motore si accese con un Milan piccolo piccolo, in serie B, che sognava di tornare presto grande dopo anni di difficoltà e di tanti bocconi amari ingeriti. Era il periodo della grande rivalità Juventus-Roma, della “questione di centimetri” di Turone e della magia del Barone (Liedholm). Oggi, a distanza di anni, il Barone ci guarda dal cielo, i “centimetri di Turone” un facile pretesto per polemiche calcistiche fra coloro che ancor oggi dominano la scena calcistica, Juventus e Roma.

In tutto questo tempo, come ad un percorso narrativo ad anello, ho vissuto una molteplicità di emozioni indescrivibili e non comprensibili per chi non segue ed ama il calcio. Dai tackle e le uscite palla al piede di Baresi, il mio capitano, alla poesia calcistica inimitabile che usciva dai piedi di Van Basten, passando per la forza e la classe di  Maldini, l’altro mio capitano, alla velocità di Shevchenko e alla generosità di Weah. Di tutto di più. Trionfi di ogni genere, coppe alzate a ripetizione, sfottò di ogni tipo ai cugini e agli juventini, storie d’amore durate cinquantotto partite consecutive (il record d’imbattibilità), amori intensi di una sola notte ma indimenticabili (Barcellona 1989, quella più intensa e più bella, Vienna, Atene, Manchester, e di nuovo Atene). Senza dimenticare le sconfitte, le finali perse,  quel pianto a dirotto di un bambino tredicenne che temeva di non farcela a superare l’esamino di terza media dopo aver assistito alla Fatal Verona. Ci sono anche le delusioni, il calcio è lo specchio della vita, lo capii ben presto.

Nel corso degli anni non posso nascondere che parte di tutto questo è andato un pochino scemando. Al di là di facili discorsi sul calcio che è cambiato, sui troppi soldi che girano, la vita mi ha portato a delle priorità e ho dovuto rinunciare a recarmi allo stadio con frequenza. Ma non ho rinunciato alla mia passione, vissuta con maggior equilibrio, (mi ritengo comunque abbastanza obiettivo per quello che posso), accrescendo una passione forse più da salotto, con birra, messaggini agli amici e manifestazioni gastriche fantozziane, ma la passione è rimasta, quella non può scemare mai, quando c’è, quando è viva, quando è dentro al cuore che batte e si emoziona alla visione di questi colori.  D’altro canto, se Stendhal decise di scrivere “Le Rouge et Le Noir” un motivo ci sarà pur stato….

Bisogna riecheggiare la ritualità. Oggi, per una volta, tornerò ai primi anni novanta, quando in assoluta eccitazione adolescenziale, indossavo il mio “bomber” blu, la mia sciarpa rossonera per coprirmi dal freddo, controllavo cento volte (come faccio ora per altre cose) se avevo l’abbonamento (tessera di terzo anello rosso) , con diecimila lire in tasca prendevo l’autobus, la metropolitana e l’incontro coi tifosi, chiacchiere da caserma trasversali fra calcio e donne, tutti schiacciati come sardine dentro il pulmino che da Piazzale Lotto ti porta allo stadio. Si potrebbe scrivere un libro su quel tragitto, sulla passione che pervade da anni chi quel tragitto lo conosce a memoria.

Questa sera, dopo tanti anni tornerò. Bisogna sempre tornare prima o poi. E sarà un’emozione forte, perché la vita è un’emozione forte, e la condividerò con due cari amici che mi hanno spinto a riviverla e cui dedico questo articolo, così come lo dedico a tutti i tifosi del Milan ma anche ai tifosi di calcio in generale. Certo, non posso nasconderlo, oggi più che mai, sarò meno “politically correct” e più tifoso. Sempre nel rispetto dell’avversario. Il mio è un cuore diviso a metà. Da una parte il rosso, dall’altra il nero. Stendhal lo sapeva già.

D’altronde, come diceva qualcuno,  si possono cambiare fidanzate e fidanzati, mogli, mariti, automobili e beni di ogni genere ma non si può cambiare la squadra del cuore. La mia resterà per sempre una fino alla fine.

Evviva il Milan, evviva la vita.

 

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