io e il mare

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domenica 30 maggio 2010

ELOGIO DELL'ESTETICA DURANIANA


"Beauty is in the eye of the beholder". Tutti conosciamo questa frase di Oscar Wilde, ma non sempre ci riesce facile interpretarla ed inquadrarla nella realtà musicale del terzo millennio, in cui la musica viene scaricata dalla rete e consumata assai rapidamente per poi essere cestinata senza lasciare traccia.
In questo senso, gli anni ottanta sono stati forse l'ultimo decennio che ha lasciato un vero e proprio solco all'interno del panorama musicale internazionale, avendoci lasciato in eredità tante formazioni ed artisti che hanno fatto la storia della musica. Fra questi meritano il giusto spazio, nella mia isola Barataria del libero fluir pensiero, i Duran Duran.
Sono un gruppo strano i Duran Duran. Figli degli anni ottanta, nati alla fine degli anni settanta, e ancor oggi, non si sa perchè, si portano dietro questa etichetta di primissima "boy band" degli anni della Milano da bere, dello yuppismo e chi più ne ha più ne metta...
Come è dura liberarsi dei clichè in questa società che bolla tutto, etichetta tutto, e sminuzza tutto nel tritatore mediatico dimenticandosi spesso che gli artisti veri sanno rinnovarsi nel corso del tempo, mostrando un'immagine nuova, coraggiosa, diversa.
I Duran Duran lo hanno sempre fatto nel corso della loro carriera, e per questo mi piacciono tanto e li ascolto quasi quotidianamente. Ascolto i Duran degli esordi come quelli del loro ultimo lavoro discografico di tre anni fa, "Red Carpet Massacre". Il filo comune denominatore sono le emozioni che loro canzoni trasmettono. Un brano come "Save A Prayer", unanimente considerato come un modello di sonorità che rimandano ad esotismo ed atmosfere fuori dal tempo, ha fatto sognare due generazioni in tutto il mondo.
I Duran Duran sono sopravvissuti a svariati cambi di formazione, abbandoni e ritorni, riunioni e ritorni all'antico, mantenendo però sempre la loro originalità artistica e la loro voglia di sperimentare. Straordinari e coraggiosi, anche quando qualche disco non ha dato loro l'esito sperato. Più facile mantenere la stessa linea o cantare la stessa canzone da vent'anni, come fanno tanti altri. Loro no, loro cambiano. Strade diverse, nuove, originali. Ed io li ammiro tanto per il loro coraggio, per la loro versatilità. Non vi è un loro prodotto musicale che alle mie orecchie di attento ma profano ascoltatore sia uguale all'altro.
Mentre scrivo, affinchè possa giungere in me la vena necessaria per poter elaborare un valido articolo, ascolto la loro musica. Ed è pura magia che viene fuori dalle tastiere di Nick Rhodes in brani dall'atmosfera unica, vedi "The Seventh Stranger", per non parlare poi dell'atmosfera glamour che si diffonda fra le note di "New Religion" o l'inno alla vita di "What Happens Tomorrow".
La voce di Simon Le Bon è cresciuta nel tempo, maturata, fortificata anche grazie ed esperienze terribili, tipo la stecca al LIVE AID del 1985, in cui milioni di persone assistettero al punto più passo dell'epopea duraniana, quando la band si presentò completamente allo sbando e Simon, assolutamente fuori forma, stonò clamorosamente durante l'esecuzione di " A View To a Kill", il primo ed unico brano colonna sonora di un film della saga di 007 a raggiungere il primo posto in classifica.
Quella figuraccia avrebbe distrutto chiunque. Ed invece a distanza di venticinque anni i Duran sono ancora qui, a regalarci quelle emozioni un po' glamour che si creano all'ascolto di brani tipo "Hold Back The Rain" o "Union Of The Snake", per non parlare di quel capolavoro assoluto che è "The Chaffeur".
Non tutti i lavori dei Duran Duran sono dei capolavori. Ma c'è un perchè e sta come ho già detto prima nella loro ferma volontà di voler fare sempre cose diverse, di non lasciarsi addosso un'etichetta che per troppo tempo è stata appiccicata loro, quella dei "ragazzi selvaggi" ("Wild Boys" è il titolo di una delle loro canzoni piu note, per quei pochi che non lo sapessero, ed anche una di quelle che mi piaccino di meno...) figli degli anni ottanta.
I Duran Duran sono figli degli anni ottanta, con capolavori tipo "Rio", degli anni novanta con morbide pennellate musicali tipo "Ordinary World". Ora mi aspetto la perla degli anni duemila, che ancora deve giungere, ma che sento i ragazzi selvaggi stanno preparando per noi, che un po' sempre ci sentiamo belli e "pettinati" (trad dal gergo milanese, vuol dire "fighetti") come John Taylor e Simon Le Bon, per sempre duraniani nel cuore.
Perchè non va mai dimenticato un fatto, cari amici miei: The Wild Boys always shine...

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